Questo reportage fa parte di Collettiva Academy, il progetto di collaborazione tra la redazione di Collettiva e gli studenti del corso di laurea in Media, comunicazione digitale e giornalismo dell’Università La Sapienza di Roma. Gli autori sono studenti che hanno partecipato al nostro laboratorio di giornalismo narrativo.


Iris tocca il suo primo pallone a soli 5 anni nel cortile con i fratelli delle sue amiche, nel tentativo di emulare i calciatori che vedeva sul piccolo schermo. Nei campetti improvvisati insieme agli altri bambini, Iris giocava in porta inconsapevole che da grande sarebbe rimasta sempre lì, in difesa. Tuttavia, di goal nella propria vita Iris ne ha subiti tanti, ma senza mai perdere la partita. In Molise, non esistevano realtà di calcio femminile, dunque l’unico modo per poter giocare era quello di inserirsi in un contesto al maschile dove le partite erano solo un ricordo lontano.

“Allenarsi e poi non poter giocare non è gratificante”, ma per Iris non è una sconfitta, anzi, solo un pungolo in più per ragazze che come lei non avevano intenzione di accantonare la loro passione. Tra un passo di danza classica e un tiro al pallone, Iris cresce ed entra a far parte di una squadra femminile scolastica. Nessun campionato in vista, ma dopo anni finalmente qualcosa si muove dando vita ad una realtà tutta al femminile.

Iris e la passione

Anche qui non mancano le ingiustizie, i pianti e la rabbia, seguiti però da atti di coraggio e forza di volontà: “Una volta occupai un campo da calcetto perché non volevano che noi ragazze giocassimo”. Oggi sui campi di Sapienza Sport, Iris è difensore della squadra femminile universitaria, studia e allo stesso tempo continua ad alimentare la sua passione, consapevole però che, nonostante ci siano stati dei passi avanti, i goal da fare sono ancora tanti: “Il pregiudizio più diffuso è associare alla donna calciatrice l’etichetta di 'maschiaccio' senza femminilità. Etichetta che, tra l’altro, viene al 90% dei casi affibbiata da altre donne. Manca proprio quella solidarietà che invece nel confronto con i ragazzi è presente”. Pregiudizi che possono portare le giocatrici ad appendere gli scarpini al chiodo: “Mia sorella ha iniziato a giocare a calcio da qualche tempo, in questo periodo sta subendo delle forme di violenza psicologica da parte di altre ragazze. Violenze che molto spesso la portano a pensare di mollare tutto”.

Il rimpianto di Greta

Spostandoci in attacco troviamo Greta, che sotto lo sguardo del padre allenatore, muove i suoi primi passi nel mondo del calcio. Forse avrebbe dovuto perseverare, non abbandonare il suo sogno di giocare, lottando con la stessa determinazione con cui da bambina riuscì a convincere sua madre a tracciare la strada verso questa passione. “Se potessi tornare indietro direi alla me del passato di non mollare”. Il suo ingresso nei pulcini avviene a soli 4 anni in una squadra mista, cercando di unire questo al pattinaggio, condizione imposta dalla madre. "La passione per il pattinaggio è rimasta, ma il calcio è diventato un compagno inseparabile, una fiamma che continua a bruciare".

Essere l'unica ragazza in campo spesso ha comportato trattamenti diversi. Racconta di allenatori che, durante le spiegazioni degli esercizi, si rivolgevano a lei dicendo: "Vabbè poi a te lo faccio vedere". Non mancavano commenti sprezzanti dagli avversari: "Sei l'unica femmina, ti presenti a giocare con tutti maschi"; e confronti con stereotipi dannosi: “Le donne sono scarse, guardare una partita di calcio femminile non è divertente, il calcio femminile è un altro sport”.

Affermazioni che riflettono l'ostacolo culturale che molte giocatrici devono superare, dimostrando che la strada verso la parità di genere nel calcio è ancora lunga. Un'indagine di YouTrend del 2022 evidenzia, infatti, che c’è un divario tra spettatori nella visione del calcio femminile in Tv. Solo il 57% degli uomini ha seguito eventi femminili, mentre l'88% ha seguito eventi maschili. A differenza di Iris, Greta ha tentato di intraprendere una carriera nel calcio professionistico: "Per i miei genitori era un sacrificio troppo grande perché ci dovevamo spostare. Sentivo il peso del fatto che questo sforzo non sarebbe mai stato ripagato perché non sono un maschio".

In un’epoca in cui il calcio professionistico sembrava fuori portata per le donne, Greta non poteva immaginare che un giorno sarebbe cambiato tutto. "Sono molto contenta che le bambine di adesso, invece, abbiano questa possibilità sia perché io non l'ho avuta e sia perché, cazzo, giochiamo a calcio e siamo capaci, siamo normodotate e possiamo farlo", esclama con fervore, sperando in un cambiamento che apre le porte a un futuro migliore per il calcio femminile.

Il traguardo di Lisa

Se Greta alla fine ha dovuto rinunciare, Lisa invece il suo traguardo l’ha raggiunto. Lei e il calcio si incontrano in tenera età, quando da bambina insieme agli amichetti giocava in cortile, da lì l’inizio di tutto. A 8 anni gioca in una squadra maschile di cui ricorda le facce incuriosite degli avversari, per tutti era infatti una novità ed anche una sfida: battere una squadra dove c’era una ragazza. È proprio in questo contesto che la futura calciatrice incontra i primi ostacoli. Nei campi non c'erano spazi che le permettessero di cambiarsi, era quindi costretta ad utilizzare lo spogliatoio degli arbitri o a tornare a casa sporca. Tutto intorno a lei la faceva sentire sbagliata, come se quella realtà non potesse appartenere alle donne.

Nonostante questo, Lisa ha continuato a perseverare riuscendo ad approdare in Serie B. Per inseguire il suo sogno, però, ha dovuto abbandonare la sua famiglia e la sua città, perché spesso giocare a calcio per le ragazze non è un diritto ma una fortuna. “Nascendo lontana dai grandi vivai, sei costretta a trasferirti altrove, dove puoi sperare di inserirti in società calcistiche femminili”. Su tutto il territorio italiano, infatti, si contano solo 292 squadre femminili contro le 14000 maschili. Numeri che si traducono in una difficoltà oggettiva delle donne di trovare un posto nel calcio. Allo stesso tempo si deve però tenere in considerazione quanta attenzione stia ricevendo il calcio femminile. Nel 2022 la Figc ha riconosciuto come un vero e proprio mestiere l’essere calciatrice, con norme che disciplinano questa professione.

È proprio Lisa che sottolinea come l’obbligo del minimo salariale, il versamento dei contributi, il diritto di maternità siano importanti traguardi raggiunti. Tuttavia, oggi essere calciatrici non permette ancora di vivere solo di questo. Esiste ancora un divario immenso tra quanto guadagna un calciatore rispetto ad una collega di pari categoria: in serie A, una calciatrice guadagna almeno 27 mila euro l’anno, mentre un uomo arriva a 45 mila. “Si deve tenere anche presente la netta differenza tra squadre agonistiche e dilettantistiche. Queste, meno soggette ai riflettori dei media, sono protagoniste di maggiore discriminazione, con allenatori e staff che si prendono la libertà di adottare atteggiamenti offensivi, anche se tutto questo rimane nell’ombra”.

Nonostante tutto, Lisa è riuscita a dare un calcio a questi pregiudizi. La strada è ancora lunga, ma lei non molla di certo: “Noi donne dobbiamo trovare il coraggio di prenderci ciò che vogliamo”.