In molti, non senza una buona dose di cinismo, si stanno (ci stiamo) chiedendo in questi giorni se l'incredibile e drammatica vicenda Coronavirus possa in qualche modo avere dei risvolti positivi, se possa cioè rappresentare non solo una tragedia nel presente, ma un'opportunità nel futuro. Alla parola “opportunità” Fabrizio Barca quasi salta sulla sedia. Lui ha imparato all'Aquila, dopo il terremoto, che quella parola non si può usare. Perché se una persona ha perso la casa, o, peggio, un proprio caro, non la vuole sentire, e ha ragione. Allora è meglio parlare di una lezione che possiamo imparare. Una lezione impartita da un virus che non colpisce tutti allo stesso modo, non solo da un punto di vista sanitario, ma anche nella condizione sociale delle persone.

Raggiungiamo Fabrizio Barca – statistico, economista e oggi animatore e coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità – nella sua casa, dove si trova, per una fortunata coincidenza di eventi – con buona parte della famiglia, nipotini compresi. “Averli è un grande vantaggio – ci dice – perché ti assorbono e ti ‘costringono’ ad essere sempre di buon umore”.

Barca, come la sta vivendo questa condizione inedita e impensabile fino a poche settimane fa?

Penso di viverla come la maggior parte di noi, con il conforto delle persone care che mi stanno vicine e l'apprensione per quelle lontane. Ho un figlio in UK in questo momento, in balia di Boris Johnson, e sono preoccupato per lui. Poi c'è la dimensione collettiva, il pensiero di come in questo momento si possa dare una mano. E in questo il nostro forum è fondamentale, ci sentiamo ogni giorno, dal primo momento, e proviamo ad essere di aiuto.

Ecco, il forum si occupa di studiare le disuguaglianze per provare a ridurle e contrastarle ed è indubbio che questo virus di disuguaglianze ne produca molte. Non solo perché è più pericoloso per alcune categorie, ad esempio le persone anziane, ma anche per i suoi effetti sociali, potenzialmente devastanti.

Beh, a un primo sguardo si potrebbe dire che non è così, che anche politici, attori, calciatori ricchi e famosi sono colpiti. Ma non facciamoci ingannare. È chiaro che chi ha più mezzi si tutela di più e, soprattutto, si espone di meno. Lo fa ad esempio perché non deve andare in fabbrica, perché non fa parte della catena di produzione alimentare, che mai si potrà interrompere. Per non parlare ovviamente di medici e infermieri. E poi c'è quella grande fascia di persone che hanno perso il posto di lavoro. Perché, attenzione, oggi il livello di insicurezza sociale è altissimo. Ci sono persone che sono disoccupate a causa del Coronavirus senza essere licenziate, ma semplicemente perché gli è scaduto il contratto. Una società folle, in cui abbiamo costruito un'enormità di lavoro precario, si dimostra terribilmente esposta in situazioni come questa.

Restando in tema di disuguaglianze. Uno dei servizi pubblici fondamentali che ha risentito maggiormente dell'emergenza Coronavirus è la scuola che sta tentando ora di reinventarsi attraverso gli strumenti digitali, ma questo inevitabilmente produce di nuovo cesure e disparità, perché la didattica a distanza non funziona per tutti.

Guardi, io so che ci sono insegnanti che stanno facendo mirabilie con i mezzi pur limitati che hanno e senza avere un'esperienza pregressa. Ma non basta. Molto dipende infatti dalle famiglie e dal loro status sociale. Una conoscente, che ha i suoi bambini in una normale scuola pubblica, mi diceva che a fare lezione a distanza sono 8 su 20. E gli altri? È chiaro che ancora una volta si aprono divaricazioni legate alla possibilità e alla capacità dei genitori di seguire i propri figli. Ma voglio fare anche un altro esempio, una categoria che mi sta particolarmente a cuore: la popolazione delle aree interne. Queste persone oggi sono praticamente tagliate fuori a causa del ritardo terribile delle autorità centrali nel dotare questo pezzo di paese di un'infrastruttura digitale all'altezza. In situazioni di questo tipo, ancor più che nell'ordinarietà, si pagano tutti gli errori fatti da una politica neoliberale dannosa, come l'indebolimento e la privatizzazione della sanità, ovvero da una pubblica amministrazione arcaica. È bene tenerlo a mente: non dipende dal fato, dipende da politiche sbagliate e dal mancato rinnovamento della Pa e questo dovrebbe indurci a cambiarle appena possibile.

Ecco, quali sono secondo lei le azioni prioritarie che a livello di governo nazionale e forse ancor più di Europa bisognerà mettere in capo?

Provo a stare sul concreto, perché credo che le persone ora chiedano grande concretezza. Il primo tema è come utilizzare lo spazio di manovra finanziaria che, doverosamente, l'Europa ha concesso ai governi nazionali. Quando la ministra Catalfo fa presente di aver tutelato 14 milioni di lavoratori (secondo i nostri calcoli sono 11, ma non è questo il punto) evidenzia sicuramente un intervento importante, che ora, con le nuove decisioni andrà finanziato di più, ma restano comunque scoperti almeno altri 7 milioni di persone, perché l'Istat ci dice che i lavoratori privati in Italia sono 21 milioni. E allora qui deve entrare in gioco il reddito di cittadinanza, che per fortuna l'Italia ha, nonostante le distorsioni nel suo funzionamento, ma che deve essere necessariamente esteso. E il sussidio di disoccupazione. Il ricorso e l’espansione di tutti gli strumenti esistenti: è l’insegnamento delle esperienze internazionali, è ciò che abbiamo suggerito in un contributo predisposto assieme a Cristiano Gori. Bisogna assolutamente evitare che questa crisi crei nuove disuguaglianze e faccia crescere ancora rabbia e risentimento nelle persone.

E per quanto riguarda l'Europa?

Anche qui, due questioni concrete. La prima riguarda i vaccini: mi ha fatto molto piacere sentire il presidente Conte affermare che è la ricerca pubblica che deve garantirci non solo che si faccia il prima possibile, ma che le informazioni raccolte e i passi avanti fatti vengano diffusi e condivisi con tutti. Non è in alcun modo tollerabile che in questo momento ci sia chi, come quel forsennato di Trump, tenta di impadronirsi del vaccino. È quindi fondamentale garantire che qualsiasi scoperta, in qualsiasi centro di ricerca dell'Europa divenga dominio comune, perché l'obiettivo qui non è fare soldi, ma salvare vite. E lo stesso ragionamento vale per il digitale, per quella montagna di dati che, ancor più in questo periodo, vengono accumulati. Questa enorme quantità di informazione deve diventare patrimonio collettivo, non è pensabile che qualche corporation digitale guadagni un vantaggio competitivo da questa situazione. L'Italia ha una piattaforma digitale collettiva che ha costruito per il sistema dei pagamenti, si pensi ad utilizzarla, affinché divenga lo strumento attraverso il quale e nel quale le informazioni si accumulano.

Il ruolo e il peso del pubblico nella nostra società e nell'economia è un tema che l'emergenza Coronavirus ha riportato con forza al centro del dibattito. Secondo lei ci resterà anche quando la curva dei contagi comincerà a scendere?

Me lo auguro. Faccio notare una cosa a proposito: la figura a cui è stato affidato il ruolo di commissario nell'emergenza, Domenico Arcuri, che si sta spendendo in questi giorni per costruire ospedali e attrezzare l'Italia nel miglior modo per affrontare il virus, è l'amministratore delegato di Invitalia, che è un'impresa pubblica. Vorrei che ce lo ricordassimo quando usciremo dalla crisi. Come il Forum ha scritto nelle sue proposte e presto tornerà a proporre in modo circostanziato. Cassa depositi e prestiti, Invitalia, Snam, Poste, Ferrovie dello Stato: dobbiamo utilizzare con più forza queste imprese pubbliche di alto livello anche in un momento ordinario per rilanciare il Paese su una linea di sviluppo che raggiunga tutti.