"Quella sera ero a casa. Ero appena tornato da una cena e circa un’ora dopo l’incidente ho ricevuto la telefonata di un controllore di volo militare di Ciampino che mi dava la notizia e mi diceva che secondo loro l’aereo era stato – come disse lui – 'buttato giù', mi avvertì quindi di non fidarmi della versione ufficiale". Andrea Purgatori ricorda così il 27 giugno 1980 quando un aereo con ottantuno persone a bordo scompariva dai radar e iniziava una lunghissima e non ancora conclusa ricerca della verità, Una vita professionale e umana trascorsa a cercare di scalfire il muro di gomma che ha avvolto il caso Ustica. Un muro alzato mattone dopo mattone dai poteri istituzionali nazionali e internazionali. "Non è l’unica vicenda che ho seguito per venti, trenta o quarant'anni: questo è un Paese che non riesce mai a chiudere i conti con il passato e si lascia aperte delle code su cui, secondo me, l’informazione deve fare il suo lavoro. Finché è possibile lavorare, tirare fuori pezzi e pezzetti di verità su queste vicende - che siano stragi, atti di terrorismo o crimini di mafia - penso che la cosa più corretta e giusta sia continuare a lavorarci su. Non è soltanto un problema di memoria ma proprio di ricostruzione dei fatti per cercare di arrivare quanto più possibile alla verità".

Ricercare la verità in questi quarant'anni ha voluto dire confrontarsi anche duramente con il potere, le sue varie geografie e i suoi vari palazzi. Come si può descrivere questo incontro-scontro? 

Beh, è stato molto complesso: magari adesso non riusciamo neanche a immaginarlo ma quarant’anni fa non esisteva internet e, quindi, non c’era alcuna possibilità di portare avanti le ricerche che sono possibili oggi sui nomi, sui luoghi, sulle circostanze, sugli incroci; tutto era estremamente più complicato. Diciamo però che la cosa più difficile era confrontarsi con dei poteri - come, per esempio, quello militare - le cui versioni ufficiali non soltanto venivano date per buone ma assumevano un valore granitico. Ecco mettere in discussione quelle versioni era un’impresa complessa. Poi, in questo caso specifico, nella vicenda di Ustica sono intervenuti poteri non soltanto nazionali ma internazionali aggiungendo altre complessità e difficoltà. Avere a che fare con governi come quello americano o quello francese o anche con il regime libico non è stato affatto semplice. Non lo è stato mettere insieme tutti questi elementi e contestare  le contraddizioni, le bugie e i depistaggi sostenuti da Paesi nostri alleati, rispettati. o addirittura da nostri partner commerciali, come quello libico che in virtù dell'interscambio che avevano con noi contavano sul fatto che saremmo stati ligi. Lo ricordo solo per capirci: nel 1980 Gheddafi possedeva il 13 per cento delle azioni della Fiat quando la Fiat era l’industria più importante in Italia. Tant’è vero che quando il famoso Mig libico cadde sulla Sila Gheddafi non si rivolse al governo italiano ma direttamente alla Fiat e a Romiti perché fosse recuperato e rimandato in Libia. Questo per far capire quali erano i rapporti e quali anche le posizioni di forza.

Il contesto e le posizioni di forza sono decisamente cambiate negli anni e molti dei personaggi di allora sono definitivamente usciti di scena, Ma perché ancora oggi facciamo fatica ad avvicinarci alla verità? Un passo c'è stato con la recente sentenza che ha condannato lo Stato italiano per non aver garantito la sicurezza nei cieli, eppure non basta. Perché la verità su Ustica fa ancora paura?

È una verità che fa paura perché se per quarant’anni si tiene nascosto uno scenario come quello al centro del quale c’è andato di mezzo un aereo con ottantunocittadini a bordo che certamente non volava sul Golfo Persico ma da Bologna a Palermo in uno spazio aereo che doveva essere pacifico e tranquillo e queste responsabilità coinvolgono paesi così importanti è chiaro che i silenzi sono difficili da scalfire. Faccio un esempio: la Francia ci ha raccontato per trentacinque anni che quel giorno la sua base militare in Corsica aveva sospeso le attività alle cinque del pomeriggio, questo contro le evidenze che risultavano dai pochi nastri rimasti ma anche da alcune testimonianze. Cinque anni fa i magistrati italiani sono riusciti a interrogare alcuni ex militari della base di Solenzara e lo hanno fatto in maniera ufficiale attraverso una rogatoria a Nizza: questi militari hanno così confermato che quel giorno la base aerea non chiuse alle cinque del pomeriggio ma continuò l’attività fin’oltre la mezzanotte. Ora se un Paese come la Francia, nostro vicino, confinante, alleato, storicamente amico, ci racconta una bugia di questo genere è difficile pensare che non abbia qualcosa da nascondere perché altrimenti non ce ne sarebbe motivo alcuno.

Quella che riguarda il Dc9-Itavia non è l’unica storia che lei ha seguito per decenni, ma quand’è che ha deciso che su questa vicenda in particolare, sulla strage di Ustica, non avrebbe mai smesso di cercare la verità? C’è stato un momento, un incontro, una persona determinante?

Ci sono stati sicuramente i familiari delle vittime. Con alcuni di loro ormai ho un rapporto che posso definire fraterno, di amicizia, soprattutto perché nei primi sei anni dall’incidente, quando ancora non si era costituita l’associazione dei parenti delle vittime, ero un po’ il loro punto di riferimento: telefonavano per sapere cosa accadeva, come procedeva l’inchiesta, se c’erano delle novità. Erano stati davvero abbandonati, quindi diciamo che in quel periodo si sono costruiti anche dei rapporti umani. Devo dire che lo stesso è accaduto anche per altre vicende italiane, penso alla strage di piazza Fontana, alla moglie e alle figlie di Pinelli, alle storie di mafia, al fratello di Francesca Morvillo, la moglie di Giovanni Falcone. Si tratta di vicende nelle quali il rapporto umano è importantissimo e va comunque aldilà di quella che può essere una molla professionale. Il rapporto umano serve anche a darti energia nel momento in cui pensi di essere arrivato a un vicolo cieco e capisci che devi andare avanti perché c'è gente , ci sono persone che aspettano la giustizia, oltre che la verità. Ecco, secondo me, l’informazione deve fare questo altrimenti è semplicemente il megafono del potere e di ciò che accade giorno per giorno ma non offre ai cittadini gli strumenti necessari a esprimere poi un proprio giudizio.

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