La sanità giace in una situazione di crisi che non ha bisogno di essere ulteriormente ricordata o descritta: perché ciò è avvenuto? Perché la società italiana e mondiale ha subito un progetto di trasformazione devastante, passando da una situazione in cui l’universalità dei diritti individuali e collettivi era data per acquisita all’attuale in cui gli esseri umani (e non) sono completamente dipendenti dal mercato e dai “diritti proprietari”.

Intanto il processo di privatizzazione, favorito dalla pandemia e da un definanziamento ultradecennale sta inesorabilmente riempiendo gli spazi del pubblico; alle multinazionali (farmaceutiche e non) è platealmente concesso e riconosciuto di arricchirsi in modi indecenti (vedi la vicenda dei vaccini anti-Covid); gli Stati sono conniventi con i diversi poteri. Ormai salute-sanità è diventato “nella società un comparto a bassa priorità ma oggetto di un insistente marketing politico travestito da linguaggio di prossimità, cura, continuità….un settore interessante per guadagni rapidi e senza rischi” (Gianni Tognoni, La salute come diritto universale. Scaduto? Da Salute Internazionale).

La salute e la sanità non sono un problema di medici e di sanitari, ma sono un dovere della società e delle sue istituzioni, perché si tratta del diritto universale alla vita nella dignità che non ammette che gli esseri umani (ma anche non) siano trattati come scarti. 

E questo è molto chiaro nell'articolo 3 della Costituzione e nell’articolo 32. I Lea e Lep benché previsti sia nella 833/78 sia nella Costituzione hanno solo un valore di guida economica, tant’è che sono chiamati essenziali, cioè minimi, perché il loro finanziamento non è mai stato fatto ovvero è stato fatto in modo del tutto insufficiente, soprattutto al Sud ma anche nelle periferie del Nord.

Pur essendo il contesto politico e sociale sfavorevole, se vogliamo rilanciare e salvare il servizio sanitario pubblico abbiamo il dovere di fare scelte coraggiose, rivedendo la legge 833/78, tradita dalla normativa successiva, cominciare a pretendere e fare in modo che i finanziamenti siano reindirizzati al pubblico vero e siano cancellati i benefici fiscali del privato in sanità.

Molto altro c’è da fare, ma da subito bisogna lavorare perché non passi l’autonomia indifferenziata che sarebbe la tomba del servizio sanitario: niente più equità e aumento delle povertà, non più contratto unico, privato dilagante, mancanza di una unica autorità per la salvaguardia dell’ambiente e altro ancora.

Loretta Mussi, medico, dell'Esecutivo dei Comitati per il Ritiro di ogni autonomia differenziata, l'unità della Repubblica, l'uguaglianza dei diritti e del Tavolo NOAD