La mafia non uccide solo d’estate, non uccide solo in Sicilia e non uccide solo gli uomini. La mafia - così come la camorra, la sacra corona unita, la ndrangheta - uccide i personaggi che le risultano scomodi nella società civile, nella politica, nel giornalismo, nel sindacato. Personaggi: sostantivo invariabile, maschile tanto quanto femminile. La prima, riconosciuta, donna vittima di mafia è Emanuela Sansone, 17 anni, ammazzata il 27 dicembre del 1896, per ritorsione contro la mamma sospettata di aver denunciato dei mafiosi per fabbricazione di banconote false.

A Emanuela seguiranno Rossella, Maria Concetta, Gelsomina e purtroppo tante altre. Le donne sono definite intoccabili, eppure spesso è proprio è la ragione per cui vengono prese di mira. Come Maria e Natalia Stillitano, Concetta Iaria, Maria Immacolata Macrì, Maria Teresa Ferraro uccise per vendetta, per logiche interne alle guerre dei clan. Quello di Gelsomina Verde viene ricordato come uno dei più spietati delitti della camorra. Una vicenda raccontata anche da Roberto Saviano in Gomorra.

Gelsomina ha solo ventidue anni e fa l’operaia in una fabbrica di pelletteria. La sera del 21 novembre 2004 Mina, così viene chiamata dagli amici, viene attirata in una trappola proprio da un amico, Pietro Esposito. I suoi aguzzini avrebbero dovuto estorcerle delle informazioni. Probabilmente Mina non sa, forse non vuole tradire. Rimane inspiegabile l’efferatezza con la quale i killer si avventano sul suo corpo. Torturata per ore, forse stuprata, sarà uccisa con sei colpi di pistola e il suo corpo sarà dato alle fiamme probabilmente per nascondere le tracce dello scempio inflittole.

Testa bassa - scriveva due giorni dopo Repubblica - il terrore negli occhi. Ventenne anche lei, ha salutato la sua amica poco prima del delitto. Ora la ragazza è l’unica a poter aiutare gli investigatori a ricostruire l’omicidio di domenica, poco prima di mezzanotte, il quarto e il più efferato di una giornata di sangue. Perché una ragazza di 21 anni, Gelsomina Verde, viene sequestrata, picchiata, uccisa per camorra. Il suo corpo dato alle fiamme come si fa con un grosso criminale, un rivale dei clan. Ma lei, Gelsomina, non c’entrava niente con la faida di Secondigliano. La sua unica colpa era di avere un amico considerato uno "scissionista" della cosca Di Lauro (…) La ragazza è stata scelta per rispondere all'omicidio di Francesco Tortora, sessantatreenne "colpevole" di conoscere ed essere vicino di casa di alcuni affiliati al clan Di Lauro. Ucciso, caricato a bordo dell'auto, bruciato. Per vendetta a Gelsomina tocca la stessa esecuzione. Ma è un "botta e risposta" senza fine. Perché prima di Gelsomina e prima di Tortora erano state uccise due persone a Melito. E prima ancora, sabato, erano stati tre gli omicidi tra Mugnano e il quartiere Arenaccia. Anche lì vittime "colpevoli" di essere amici, parenti, conoscenti di malavitosi in Guerra.

La famiglia di Gelsomina si costituisce parte civile nel procedimento penale conclusosi il 4 aprile 2006 con la condanna all’ergastolo per Ugo De Lucia - considerato uno dei più efferati sicari del clan Di Lauro nonché esecutore materiale dell’omicidio - e la condanna a sette anni e quattro mesi per il boss Pietro Esposito.

Si legge nella sentenza depositata il 3 luglio 2006: “Si badi, ed è il caso di sottolinearlo con forza che, a fronte di decine e decine di morti, attentati, danneggiamenti estorsivi e paraestorsivi, lutti che hanno coinvolto persone innocenti che non avevano nulla a che fare con la faida in corso, ma che hanno avuto la sventura di trovarsi al momento sbagliato nel posto sbagliato, finanche anziani e donne trucidate impietosamente, ebbene di fronte a tale scempio, fatto di ingenerato ed assurdo terrore, non vi è stata alcuna costituzione di parte civile, ad eccezione dei genitori di Gelsomina Verde”.

Il 13 dicembre 2008 Cosimo Di Lauro sarà condannato all'ergastolo per l'omicidio di Gelsomina Verde perché ritenuto mandante dell'omicidio. Nel dicembre del 2010 sarà assolto dall'accusa.