Sono 23 i suicidi in carcere dall’inizio del 2024, uno ogni 3 giorni. Basti vedere quanto è accaduto nel giro di poche ore lo scorso 11 marzo: tre giovani si sono tolti la vita rispettivamente nelle carceri di Pavia, Secondigliano e Teramo. Una sequenza che segna “il fallimento delle istituzioni”, ha dichiarato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. L’associazione che da anni si batte per i diritti e le garanzie nel sistema penale segnala che nei tre carceri vi è un tasso di sovraffollamento che va dal 126% al 147%.

A Pavia, si spiega nel sito web dell’associazione, nello scorso mese di ottobre “gli osservatori di Antigone avevano visitato il carcere, trovando alcuni reparti infestati dalle cimici e almeno un detenuto con un nido di insetti tra i capelli. Dopo quella visita si era sottolineato come la presenza di detenuti con disturbi psichiatrici richiedesse una grande attenzione nella gestione degli aspetti igienico sanitari”. 

Nella visita a Teramo, oltre l’elevato numero di persone con disagi psichici, veniva segnalato che il sovraffollamento non consente “un’adeguata gestione della quotidianità detentiva, una idonea organizzazione interna e una offerta di attività trattamentali e scolastiche sufficiente a coinvolgere le persone interessate”. A Secondigliano “la Direzione, nonostante l'incremento rispetto all'anno precedente, lamenta la scarsità di personale penitenziario” e il personale sanitario ha riferito che circa l'80% della popolazione detenuta fa uso di psicofarmaci".

Da qui l’appello di Gonnella al governo sul tasso di suicidi: “Una tragedia che ci dovrebbe far fermare tutti e programmare azioni e politiche di segno opposto a quelle in discussione. Fermatevi con il ddl sicurezza e approvate norme di umanità. Ogni suicidio è un atto a sé ma, quando sono così tanti, evidenziano un problema sistemico. Il sovraffollamento trasforma le persone in numeri di matricola, opachi agli operatori. Vanno prese misure dirette a ridurre drasticamente i numeri della popolazione detenuta”. 

Prospettive minori

Quello dei suicidi non è il solo dramma che riguarda le nostre carceri. La stesa Antigone, poco meno di un mese fa, ha pubblicato il Settimo rapporto sulla giustizia minorile, dal titolo ‘Prospettive minori’ e dal quale emerge che nei primi mesi del 2024 sono già 500 i minori detenuti, “un numero drammaticamente record nell’ultimo decennio”.

Sotto la lente di ingrandimento il decreto Caivano, entrato in vigore alla fine dello scorso anno e che avrebbe dovuto contrastare il disagio giovanile, la povertà educativa, la criminalità minorile e ha invece portato a passi indietro sul fronte della rieducazione del minore. Come Sofia Antonelli, ricercatrice dell’associazione Antigone, ai microfoni di Collettiva.it.

Sofia Antonelli (Antigone)

Donne, oltre l’orizzonte carcerario

Tra le criticità del sistema anche quello poco conosciuto della detenzione femminile, trascurato a causa dei piccoli numeri che comporta. Motivo per il quale Antigone ha sentito il bisogno di redarre il Primo Rapporto sulle donne detenute in Italia, per per affrontare “problemi sociali complessi che vanno oltre lo stretto orizzonte carcerario”.  

Il titolo è ‘Dalla parte di Antigone’ e contiene il racconto dei luoghi visitati uno per uno dalle operatrici dell’associazione. “Nei mesi scorsi – spiega Susanna Marietti, coordinatrice dell’associazione – abbiamo visitato con il nostro Osservatorio i quattro istituti penitenziari femminili che si trovano in Italia, le 44 sezioni femminili collocate in carceri a prevalenza maschile, le tre carceri minorili dove si trovano ragazze, le sei sezioni che ospitano detenute trans pur all’interno di carceri considerate maschili, i cinque Istituti a custodia attenuata per madri”.

Nel rapporto non mancano alcune delle proposte possibili di innovazione. Tra queste l’istituzione di un ufficio nel Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria “che si occupi di detenzione femminile” e preveda “azioni positive dirette a rimuovere gli ostacoli che le donne incontrano nell’accesso al lavoro, all’istruzione, alla formazione professionale”; l’assicurare “un servizio di prevenzione e di screening dei tumori femminili equivalente a quello delle donne in libertà”.

E ancora, è necessario un servizio che accerti se le donne in carcere hanno subito violenze sessuali, così come la formazione del personale “relativa alle esigenze specifiche di genere e ai diritti delle  detenute”. Sino a giungere alla sollecitazione affinché le carceri e le sezioni femminili siano improntate “il massimo possibile al modello della custodia attenuata”.