In due numeri c’è il dramma: 200 sono i medici di continuità assistenziale previsti per coprire i turni a Bergamo e provincia. Dai 35 ai 40 quelli in servizio per coprire i turni: tutte le notti e i festivi. Un terzo numero sintetizza i primi, le sedi di continuità assistenziale sono, forse è meglio dire erano, 27 ne sono rimaste 7, le altre hanno chiuso i battenti per mancanza di personale.

Chi cura

Paola Nardis ora è medica di medicina generale, per anni ha svolto il ruolo di guardia medica, oggi ribattezzata continuità assistenziale, arriva da Pescara ma da decenni vive e lavora in Lombardia, in un territorio quello bergamasco con zone ad alta intensità turistica. Il ruolo, quello di Mmg e quello di continuità assistenziale è unico e anche la convenzione nazionale e regionale perché risponde alle necessità di cure primarie.  Nardis racconta: “Formalmente il servizio non è interrotto, chi ha bisogno chiama il numero unico 116 117 e il centralino dirotta sulla sede aperta più vicina. Più vicina può anche essere a decine di chilometri lontana da quella di quartiere e su quella sede possono gravare le chiamate di quasi tutta la provincia”.

Tempestività e qualità del servizio

E allora può capitare che il medico che riceve tante telefonate si trovi a dover prendere decisioni rischiando. “Una situazione pericolosa – aggiunge la dottoressa Nardis - perché ci si trova a dover screenare al telefono quelle che sono le reali urgenze, non sempre questo è facile.  Se ricevo 10 chiamate di domiciliari a 40 km l'una dall'altro, anche decidere dove andare e dove no francamente, credo, che sia molto pericoloso. E tra l'altro, quando rientro in sede trovo decine di persone fuori agguerrite perché chiaramente stanno ad aspettare di ricevere le risposte per le quali sono venute, da una visita perché non si sentono bene al certificato di malattia piuttosto che per la ricetta e insomma questo non va bene”.

Insomma lì sono talmente in emergenza che nel ponte del 2 giugno, tra medici in riposo e quelli malati, dei 37 in organico ce ne erano 4 in servizio e le chiamate sono state deviate fuori provincia.

In fuga anche da qui!

“Ormai sono diventata titolare di cure primarie, avendo superato il tetto dei pazienti non copro più le guardie di continuità assistenziale, anzi sono diventata coordinatrice delle cure primarie per la mia zona. E non riusciamo a garantire il servizio per mancanza di medici. Uno è stato spostato su un'altra sede, mentre una dottoressa si è dimessa perché è passata a lavorare in una RSA non riuscendo più a gestire una situazione così stressante”. Occorre, ricordare, che i Mmg e quelli di continuità assistenziale non hanno un contratto di dipendenza quindi ferie, maternità, malattia non esistono e i medici di medicina generale, se vogliono andare in vacanza, devono trovare da soli il sostituirlo e pagarlo di tasca propria.

Tanto rammarico

“Il nostro, quello delle cure primarie, è un lavoro non più attrattivo”. Spiega Nardis, che non distingue tra medico di medicina generale e quello di continuità assistenziale perché oltre al ruolo unico è anche l’assistenza ai pazienti che è simile. “Quando io ho cominciato l’ho scelto, ho lasciato l’ospedale nel quale lavoravo per dedicarmi ai pazienti sul territorio, ma oggi tra attività burocratiche, e numero di persone a cui rispondere è veramente difficile e i giovani scappano”. Non solo ma è anche la qualità della cura che viene meno. “Se io o i miei colleghi di notte, avessimo il tempo di andare a casa di pazienti anziani o cronici riusciremmo a dare assistenza senza che vadano in ospedale, intasando i pronto soccorso”.

Come nel gioco dell’oca

A Bergamo il risultato della poca attrattività della professione e delle rigidità della regione che vista “l’emergenza potrebbe favorire che alcuni turni vengano svolti dagli specializzandi e invece non lo fa” è che i pazienti si trovano ad avere grandi difficoltà a ricevere le cure primarie di cui avrebbero diritto. Le ipotesi che circolano sono a dir poco bizzarre, ad esempio che il servizio chiuda alle 24 e non funzioni nei festivi: “con il risultato che bisognerà chiamare il 118 non solo per coliche o attacchi di cuore ma anche per febbri alte negli anziani. Commenta amara la dottoressa Nardis che ha un sospetto: “Francamente mi viene difficile da capire cosa hanno in mente, se non l'idea che forse vogliono privatizzare questo servizio invece che chiuderlo”.