Il governo propone una legge che istituisca l’ora di educazione sentimentale nelle scuole come risposta, ancora una volta mediatica e di propaganda, all’ennesima uccisione di una donna, Giulia Cecchettin. Una giovane uccisa da un giovane. A Palazzo Chigi e nei ministeri forse nessuno sa che ci sono realtà che operano nelle scuole proprio per combattere la violenza di genere, ma ribaltando il discorso: senza entrare nelle classi per parlare ai ragazzi attraverso la dottrina, ma per aprire spazi di discussione il più liberi possibile, affinché siano loro stessi a fare emergere il problema.

È il caso di Maschile Plurale, un’associazione che “si occupa di promuovere una cultura che superi il patriarcato, per una società liberata dal maschilismo e dal sessismo” e che è passata da una riflessione collettiva e personale, negli anni 90, a svolgere ormai da 15 anni attività pubbliche anche con incontri nelle scuole.

Gianluca Ricciato, uno degli educatori dell’associazione, nel rispondere alla nostra intervista, ci dice subito che ora più che mai “c’è bisogno di una parola maschile” per smuovere “qualcosa che ha radici profonde”, ma si tratta di una riflessione che rimane ancora “molto di nicchia e non riesce a coinvolgere sufficientemente e profondamente tutti gli uomini”.

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Ricciato ci illustra il lavoro che compie per l’associazione: “Se affrontassimo il problema in modo dottrinale non funzionerebbe, anzi, come dicono studi pedagogici, la tenaglia dottrinale inasprisce i comportamenti perché porta alla trasgressione della dottrina stessa. È quanto vogliamo evitare. Ecco perché lavoriamo su quanto fa resistenza nel profondo e non semplicemente affermando che non si deve provare senso di possesso nei confronti di una ragazza. Occorre aprire spazi di riflessione che facciano emergere da loro stessi e da loro stesse il tema, partendo dalle problematiche delle relazioni e quindi affrontando insieme i nodi, i legami tra stereotipi di genere, relazioni e violenza di genere”.

Non nega Ricciato che si tratta di un lavoro molto complesso, non frontale, che prevede tempi lunghi per una riflessione profonda. L’ora di educazione sentimentale non può bastare, perché serve che i ragazzi passino dalle enunciazioni di comodo nell’ora di lezione, all’interiorizzazione e quindi alle buone pratiche. “Per fare questo servono risorse”, dice l’operatore di Maschile Plurale, sottolineando come proprio il loro reperimento è uno dei problemi da fronteggiare da chi fa il suo lavoro.

Altra criticità consiste nell’ostilità che talvolta incontrano nelle famiglie, anche quando si spiega che l’associazione non fa “educazione sessuale o sentimentale (definizione di per sé vaga), ma educazione alle differenze, alla cultura del rispetto e dell’accoglienza”.

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Per agire sugli adulti ci sono però delle reti di formazione che lavorano sui dispositivi educativi della società. “I ragazzi e le ragazze hanno già le loro idee e in questa fase cercano risposte nei coetanei, per questo motivo il rapporto tra di loro è decisamente importante, ancora più di quello nella famiglia. Non c’è bisogno di un intervento spot sull’educazione sentimentale, ma di lavorare insieme a insegnanti ed educatori per dare espressione ai loro disagi”.

Ricciato, tornando quindi alla violenza sulle donne da parte degli uomini, dice di non ritenerla “un raptus e una malattia. Siamo in presenza di una patologia sociale che si esprime in tanti modi e sulla quale si deve e si può lavorare”. “Penso che la violenza parta da un disagio – prosegue -, dal non incanalarla in qualcosa di creativo, ma in qualcosa di malato. Quando la sento in me stesso, me ne rendo conto, ma fortunatamente io ho gli strumenti per incanalarla diversamente. Questo cerchiamo di fare con i ragazzi, anche se i miracoli sono difficili”.

I media, secondo l’educatore non aiutano, a causa della loro superficialità nel trattare temi tanto complessi come la violenza di genere e perché diffondono continui slogan producendo “una sovraesposizione del tema che non aiuta il tema stesso e che, abbiamo visto, sino a ora non ha fatto diminuire i casi di violenza sulle donne”. Ricciato sostiene che il modo in cui se ne parla è errato, anche alla luce di uno scollamento “tra quello che si dice e quello che poi si fa”.

Infine le sinergie. L’associazione lavora in Umbria da dieci anni insieme con il centro antiviolenza di Orvieto L’Albero di Antonia, perché insieme uomini e donne possono operare il cambiamento. “Oramai ci hanno acquisito come parte del territorio, abbiamo fatto un lungo percorso, in modo capillare. Entriamo nelle classi, un uomo e una donna, perché questo aiuta loro a comunicare meglio. E parliamo con delicatezza degli stereotipi di genere, perché se li si colpevolizza dicendo che aderiscono a tale stereotipo e quindi sono ‘sbagliati’, loro si chiudono, si irrigidiscono, non la prendono bene. Quindi, accogliendo tutto ciò che dicono, anche le cose più assurde, dobbiamo pian piano smontare lo stereotipo. Solo così si può passare dalle parole alle buone pratiche”.

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