È una partita gigantesca. In gioco ci sono interessi e cifre enormi, investimenti di case farmaceutiche e aziende multinazionali, governi ondivaghi che cambiano idea a seconda del voto, pregiudizi difficili da sradicare, regole che mutano attraversando un confine. Ma soprattutto c’è la salute di persone gravemente malate. Nell’intricato labirinto che conduce all’uso curativo della cannabis, possiamo partire da due punti fermi. Primo: nessuna autorità scientifica ha sinora scoperto effetti così tossici o negativi da vietarne l’uso ai fini terapeutici. Punto due: nonostante questo, per i pazienti affetti da gravi patologie, come ad esempio la sclerosi multipla, procurarsi questa sostanza è un’impresa eccezionale. Vediamo perché.

COME FUNZIONA IN ITALIA


Come noto, da noi la questione genera forti divisioni. Non è forse un caso che la conferenza nazionale sulle droghe – che pure sarebbe un obbligo di legge – non viene più organizzata da ben dieci anni. Detto questo, in base a un decreto ministeriale del 23 gennaio 2013, le preparazioni magistrali a base di infiorescenze di cannabis possono essere prescritte da qualsiasi medico abilitato. Il problema è farsela prescrivere e reperirla nelle farmacie. Eppure nel nostro Paese la cannabis terapeutica c’è, anche se in pochi lo sanno, ed è coltivata nello stabilimento chimico-farmaceutico militare di Firenze. La produzione dell’anno scorso è stata di circa 150 chilogrammi, ben lontana dal fabbisogno nazionale stimato in 800 chili. Il resto viene garantito dalle importazioni, in particolare dall’Olanda, le quali ovviamente hanno un costo più alto rispetto alla produzione interna. Perciò l’istituto militare starebbe predisponendo nuove serre e vorrebbe persino ricavare una sostanza oleosa per facilitare l’assunzione dei principi attivi.


foto Maria Novella De Luca

Tutto bene? Non proprio, perché un recente parere del Consiglio superiore di Sanità, a cui la ministra Giulia Grillo aveva chiesto una relazione tecnica, ha generato il caos. In molti hanno parlato di una “bocciatura” dell’uso terapeutico che invece, di fatto, non c’è stata, alimentando così nuove polemiche. Siamo dunque ben lontani dal garantire ai pazienti la reperibilità della cannabis per uso terapeutico, senza contare la difficoltà di trovare medici disposti a prescriverla. E il clima politico di questi ultimi mesi, certamente, non fa sperare in un cambio di passo.

CGIL IN CAMPO PER IL DIRITTO ALLA CURA

Da tempo il sindacato di corso d’Italia si è espresso a favore dell’uso terapeutico della cannabis. “Ci sono evidenze scientifiche che dimostrano sia gli effetti positivi, sia la non pericolosità del suo utilizzo”, spiega Denise Amerini, che per l’area welfare della confederazione si occupa di questi temi, commentando con rassegna.it il recente parere del Consiglio di Stato: “È quantomeno controverso: da un parte si parla della necessità della sperimentazione, che tra l’altro ci trova d’accordo, e anche del fatto che non siano testate a fondo le reali capacità antidolorifiche; ma dall’altra non c’è nessuna prescrizione negativa. È vero infatti che gli studi sono limitati, però dipende dal fatto che questa sostanza non è inserita nella nomenclatura dei farmaci, cosa che rende i protocolli più difficoltosi”. La Cgil insieme a un gruppo di associazioni ha anche presentato un Libro bianco alla Camera lo scorso 26 giugno (qui in versione integrale) per fare il punto. “Per dirne una, gli incidenti stradali provocati dalla cannabis sono praticamente nulli rispetto all’alcol come causa. Ma al di là di questo, la nostra è una posizione assolutamente favorevole alla cannabis terapeutica perché vogliamo difendere il diritto di cura, l’autodeterminazione e la libertà di scelta delle persone. Posso citare una ricerca a campione sui bimbi epilettici condotta all’ospedale Bambino Gesù di Roma; o l’ospedale di Careggi, dove la cannabis è stata prescritta a 800 pazienti con dolori di origine neuropatica: in entrambi i casi i risultati sono stati positivi e ci dicono una cosa fondamentale: la tossicità è assolutamente trascurabile”. Insomma, “sono davvero tante le testimonianze e le evidenze sull’utilità della cannabis terapeutica come analgesico, antispastico e per lenire gli effetti della sclerosi multipla; e dall’altra parte gli effetti avversi sono sempre minimi e limitati”.

IL PARERE DELL’OMS CHE PUO’ APRIRE NUOVE STRADE

Un altro elemento interessante e, a quanto pare, passato sotto silenzio, è il recente parere dell’Organizzazione mondiale della sanità che a gennaio scorso ha invitato a modificare lo status della cannabis per consentirne l’inserimento all’interno di determinate preparazioni farmaceutiche (qui il documento originale in inglese). Di fatto, la massima autorità scientifica dell’Onu per la salute dice che siamo di fronte a una sostanza con valore terapeutico e a basso rischio di abuso, aprendo così la strada a una maggiore diffusione per l’uso terapeutico e al campo della ricerca. “Ancora una volta – riprende Amerini – non ci sono prescrizioni negative. Mi permetto di dire che è una vittoria della scienza contro l’ideologia. Purtroppo, però, l’impressione generale è che tutto ciò che si muove intorno alla cannabis sia condizionato dal pregiudizio, a partire dal ministro Salvini che tende a criminalizzarne l’uso. Non lo scopriamo certo adesso, ma negli ultimi tempi si tende ancora di più nel linguaggio di una certa parte politica a parlare in modo generale di ‘droghe’, mettendo sullo stesso piano sostanze con effetti e pericolosità ben diverse. Un arretramento pericoloso, un ritorno allo stigma che dobbiamo contrastare”.

UN LIBRO CI SVELA “I VOLTI DELLA CANAPA”

C’è nel frattempo chi non sta a guardare e si è messo in viaggio in tutta Italia alla ricerca di storie di uomini e donne che utilizzano la cannabis come terapia per mantenere o raggiungere un livello di vita dignitoso. “I Volti della canapa” (Crowdbooks 2019) è il recente libro di Maria Novella De Luca, fotoreporter “emozionale” che ha raccolto testimonianze scritte e fotografiche e catturato sensazioni di chi lotta per il diritto alla cura. Attraverso interventi di medici, farmacisti e specialisti, il lettore viene introdotto dapprima nella realtà scientifica per poi scendere, accompagnato per mano, nella delicata sfera personale delle patologie e dei pazienti. Un reportage dalle tinte umane e profonde.


foto Maria Novella De Luca

“Ho provato a cogliere scorci di quotidianità nello sguardo di chi ha deciso di intraprendere questo percorso lungo il quale si incontrano difficoltà di prescrizione, di costo e di reperimento dei medicinali”, spiega l’autrice. Dall’irruzione della malattia al miglioramento della qualità di vita, alle lotte per il diritto a stare meglio: ecco le storie di Claudia, Andrea, Serena, Elisabetta e tanti altri che, grazie agli effetti farmacologici di una delle piante più discusse della storia, riescono ad alleviare le sofferenze. Tra le pagine del libro emerge una volta di più la disomogeneità legislativa che caratterizza il nostro Paese: “Purtroppo – spiega De Luca – sono ancora poche le regioni che hanno introdotto provvedimenti sostanziali per erogare farmaci del genere. Un interesse che dovrebbe partire innanzitutto dallo Stato che dovrebbe incentivare la ricerca, informare i cittadini e formare i medici. Non è una questione ideologica, ne va della salute di persone che vivono un estremo disagio”.