"Se ti volevi nascondere a Roma, c’erano solo due posti: il Vaticano e il Quadraro" Questa semplice frase, ben chiara al Comando Tedesco di stanza a Roma è alla base dell’ormai famoso rastrellamento del borghetto (così chiamato all’epoca, ora quartiere). Quadraro avvenuto 17 aprile 1944. Sorto ai margini della città di Roma che all’epoca si fermava all’altezza dell’Arco di Travertino (e prima ancora all’altezza degli archi di San Giovanni), all’interno di quella zona definita ‘agro romano’.

Il Quadraro, in quanto zona urbana fu voluto dal regime fascista che volendo ripulire il cuore della città da poveri ed emigrati soprattutto del Sud (in particolare calabresi e pugliesi, ma anche campani e sardi) e che quindi pensò bene di fare opera di espulsione relegandoli in zone all’epoca incolte a ridosso delle mura dell’Acquedotto Felice e Alessandrino vivendo per lo più in baracche fatiscenti, e adibiti a mestieri poveri come carpentieri, operai addetti alle ferrovie, muratori, fabbri poi elettricisti, ecc…

Come zona il Quadraro, adiacente all’attuale Parco degli Acquedotti risale ad antica memoria, era zona di pastorizia e attività contadine al servizio dei patrizi romani le cui case (ville anche importanti) sorgevano verso gli acquedotti, patrimonio di famiglie nobili nel 600/700/800 ma anche 900 in particolare dei Gerini. Ville tutt’oggi visitabili e non lontano dalle tombe latine. Qui tra anni venti e trenta si sviluppò una comunità molto solidale che fece del Quadraro un vero e proprio borghetto di case dell’allora estrema periferia, anche di pregio ma fuori dai piani regolatori, fino al 1931 quando finalmente entrò a pieno titolo nella toponomastica della città non solo come via di collegamento coi Castelli Romani ma anche come città del Cinema che sarebbe sorto da lì a pochi anni poco più su.

La vicenda del Quadraro, di cui più compiutamente parliamo, è tristemente nota. Dopo l’uccisione di due soldati austriaci ed un tedesco presso l’osteria di Giggetto (sembra da parte del famoso Gobbo del Quarticciolo) il 10 aprile del 1944 (lunedì di Pasqua), il comando tedesco di stanza a Roma decise di dare una lezione esemplare (scusa per rastrellare personale destinato al lavoro coatto - gratuito in Germania) al borghetto, ai suoi abitanti e a tutta la città di Roma. Zona tra l’altro nota per la sua attività antifascista e definita da loro stessi Nido di Vespe perché per le sue caratteristiche naturali era nascondiglio per ebrei, alleati e partigiani (che trovavano rifugio presso l’ospedale Ramazzini, nei cunicoli delle cave di Tufo ma anche nelle case stesse per la generosità degli abitanti che nascondevano chi ne aveva bisogno).

L’operazione fu comandata dal famigerato colonnello Kappler in persona, autore solo pochi giorni prima della ben triste carneficina delle Fosse Ardeatine, attuata con l’ausilio dei fascisti romani e locali. La mattina del 17 aprile 1944, sin dalle 4,30 della mattina il quartiere fu circondato dalle camionette dell’esercito nemico in quella che fu denominata ‘Operazione Balena’ (Unternehmen Walfisch).

Avevano addirittura minato le vie di fuga con l’intenzione di far saltare in aria il Borghetto intero dandogli fuoco alla minima reazione di ribellione. Fu, forse, il rastrellamento di civili più imponente di tutta l’Italia, secondo solo alla deportazione degli ebrei di Portico d’Ottavia effettuata pochi mesi prima sempre nella città di Roma (ricordo i 1024 cittadini romani di religione ebraica, di cui fecero ritorno solo 16 e tra questi nemmeno un bambino tornò).

Vennero deportati oltre 750 uomini abili al lavoro coatto in Germania e in Polonia o dove l’esercito tedesco ne avesse bisogno. Presero tutti gli uomini tra i 15 ed i 60 anni, vennero portati prima al cinema Quadraro poi trasferiti negli studi di Cinecittà e da qui, dopo tre giorni inviati nei vari campi di lavoro. Arrivarono a Fossoli, passando per Terni e via via per gli altri tristi luoghi di destinazione. Nelle parole dell'allora generale tedesco a Roma Moellhausen sono spiegati molto chiaramente i motivi alla base del rastrellamento (bisognava schiacciare ‘il nido di vespe’), va ricordato che già alle Fosse Ardeatine erano caduti, è bene ricordarlo, anche cinque partigiani del Quadraro: Gori, Butticè, Romagnoli, Butera e Bonfanti e una lapide nel cuore della borgata quartiere.

Il Quartiere oggi diviso fra due Municipi (V e VII) è stato insignito, nell’aprile del 2004, della medaglia d’oro al merito civile dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Figura di spicco nella vicenda fu l’allora parroco Don Giovacchino Rey che molto si spese per cercare di alleviare le sofferenze dei residenti in quei mesi bui e nel tentativo di far liberare più prigionieri possibili, anche lui insignito di medaglia d’oro personale al valore civile nel giugno del 2013.

Il quartiere ancora oggi onora e mantiene viva la memoria dei fatti e dei protagonisti della vicenda con numerosi scritti, filmati, murales, spettacoli teatrali, musica nonché opere pittoriche e un monumento oggi collocato all’interno del parco XVII Aprile, il denominatore comune di tutto questo è: “Mai dimenticare, perché mai più si ripeta una storia uguale”.

Lo spazio destinato al racconto è poco per cui non è possibile scendere in particolari maggiori ma esiste una vasta bibliografia in merito con memorie storiche e biografie, che fa del Quadraro e della sua storia una sorta di memoria condivisa e orgoglio collettivo che supera le generazioni. L’impegno è trasversale, cura e onora la memoria con grande affetto, lo stesso che circonda il ricordo dei rastrellati e quanti di loro hanno trascorso la vita a ricordare e insegnare cosa è stato il rastrellamento del Quadraro ma soprattutto cosa ha significato e significa oggi il fascismo e la privazione della libertà propria e altrui.

(testo di Paola Oliva, Anpi Nido di vespe e Anpi provinciale)