Tra il 18 e il 20 dicembre le squadre fasciste aggrediscono diversi militanti delle organizzazioni popolari, uccidendo 11 antifascisti e causando decine di feriti. A essere colpiti sono operai, sindacalisti, militanti comunisti. Tra questi anche Pietro Ferrero, sindacalista anarchico e segretario della Fiom torinese. Riconosciuto e catturato dai fascisti, subirà atroci sevizie.

Appeso per i piedi a un camion e trascinato presumibilmente ancora vivo lungo il selciato di corso Vittorio Emanuele sarà trovato morto ai piedi della statua di Vittorio Emanuele II.

Il numero delle vittime

Secondo i fascisti, quella passata alla storia come strage di Torino è una rappresaglia per l’uccisione di due di loro in Barriera di Nizza durante uno scontro a fuoco. Di fatto è una mattanza indiscriminata.

La rappresaglia - diceva quasi due anni dopo, nel giugno 1924, Pietro Brandimarte - era stata “ufficialmente comandata e da me organizzata (…) noi possediamo l’elenco di oltre tremila nomi sovversivi. Tra questi tremila ne abbiamo scelto 24 e i loro nomi li abbiamo affidati alle nostre migliori squadre, perché facessero giustizia”.

Al giornalista, che gli faceva notare che la prefettura aveva comunicato un numero inferiore di vittime, il gerarca rispondeva: “Cosa vuole che sappiano in questura e prefettura? Io sarò ben in grado di saperlo più di loro (…) gli altri cadaveri saranno restituiti dal Po, seppure li restituirà, oppure si troveranno nelle fosse, nei burroni o nelle macchie delle colline circostanti”.

Il fascismo getta definitivamente la maschera.

“Potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli - aveva del resto preannunciato il duce il 16 novembre del 1922 - potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto”. Almeno in questo primo tempo…

Pietro Brandimarte verrà condannato a 26 anni di carcere nel 1950, ma sarà assolto in Assise due anni dopo per insufficienza di prove.