Passando per Reggio Emilia, già dal finestrino del treno è possibile vedere un grande complesso di archeologia industriale che anno dopo anno sta sorgendo a miglior vita. Sempre da quel finestrino, ogni 28 luglio di ogni anno si può vedere una folla di persone, con davanti le istituzioni, le associazioni e i sindacati. Tra tutti i simboli, sventola la bandiera rossa della Cgil.

Ma facciamo un passo indietro. Per comprendere meglio la storia delle Reggiane e l’importanza di questa fabbrica abbiamo chiesto allo storico Tommaso Cerusici, che per la Cgil cura l’Archivio storico della Camera del lavoro di Reggio Emilia, oltre a curare due archivi nazionali di grande prestigio come quelli della Flc Cgil e della Fiom Cgil, di raccontarci la storia di questo posto.

Perché si creano le Officine Reggiane? Cosa si produceva qui dentro?
Le Officine Reggiane nascono nel 1904, a opera d'imprenditori locali, con una produzione legata alle nascenti ferrovie: carrozze, locomotive e materiale rotabile in generale. Nei primi dieci anni di attività gli operai raggiungono già quota 2 mila, questo produce anche una precoce sindacalizzazione delle maestranze: la locale sezione Fiom nasce nel 1907. La fabbrica, nel corso del primo conflitto mondiale, viene convertita alla produzione bellica, raggiungendo le 6 mila unità, tra cui molte donne.

Il 28 luglio 1943 alle Reggiane si sparò: tra le vittime anche Domenica Secchi, un'operaia incinta all’ottavo mese
Dopo la caduta del regime fascista, gli operai tentano uno sciopero per chiedere la fine della guerra. In circa 5 mila vogliono uscire dallo stabilimento per manifestare in centro città: le guardie private dello stabilimento aprono il fuoco dal tetto della palazzina temendo un assalto alla direzione, mentre un plotone di bersaglieri, posizionato davanti ai cancelli della portineria operai, sparano ad altezza d’uomo, anche con una mitragliatrice. Saranno nove i caduti e decine i feriti. Ma potremmo dire dieci morti, visto che con Domenica Secchi muore anche il piccolo nel suo grembo.

Morte, trasformazione e rinascita. Dopo la guerra c’è stato anche il riscatto di questa azienda. Qui ha avuto luogo il più lungo sciopero della storia italiana che ha portato i lavoratori a creare un nuovo trattore, l’R60
Dopo la guerra sono proprio gli operai a ricostruire la fabbrica, pesantemente danneggiata dai bombardamenti del gennaio 1944, ma questo non basta a salvarla dai licenziamenti di massa che, a partire dal 1950, la proprietà pubblica mette in campo. Questo porta alla più lunga occupazione della storia del movimento operaio italiano, durante i quali non mancherà la solidarietà dei contadini e dei commercianti, degli intellettuali e della politica. In autogestione saranno prodotti anche i tre trattori R60, simbolo di riscatto e capacità produttiva delle maestranze.

Dopo il grande sciopero che futuro hanno avuto le Reggiane?  
Dopo l’occupazione le Nuove Reggiane, che ripartirono da circa 700 addetti, diversificarono la produzione in vari settori. Se la lotta sindacale impedì la chiusura completa dell’azienda, sicuramente la fabbrica ne uscì molto ridimensionata. Per molti operai la strada fu quella dell’emigrazione, da cui rientrarono solo alcuni anni dopo (con lo sviluppo dell’industria legata al boom economico), diventando protagonisti sia dello sviluppo della piccola e media impresa reggiana sia, assieme alle nuove generazioni, delle lotte sociali e politiche degli anni Sessanta e Settanta.

Andiamo al presente. Oggi l’area delle “ex Reggiane” (grande come un quartiere) è al centro di un'imponente riqualificazione che sta trasformando una zona abbandonata a nuovo sito produttivo per centri di ricerca e aziende d'innovazione. Abbiamo chiesto al segretario generale Cgil Reggio Emilia Cristian Sesena di raccontarci questo cambiamento.

Le Reggiane erano piazza di spaccio, scarico abusivo di rifiuti e casa di persone senza fissa dimora. Ora, a fianco di uno skate park, vediamo laboratori universitari, centri di ricerca e un viale di aziende dell’industria 4.0. Dal 2011 si sta creando un “parco dell’Innovazione” che sta trasformando il quartiere e la città. Il lavoro ha il potere anche di sconfiggere il degrado?
Sarebbe bello fosse così. In realtà la dimensione lavorativa deve ancora radicarsi e strutturarsi in quest'area. Vale la pena ricordare che il degrado che ha contraddistinto le Reggiane per anni, testimoniava il "non compiuto" di un processo d'integrazione che, anche in una città tradizionalmente accogliente come Reggio Emilia, ha registrato battute d'arresto, rigurgiti razzisti, emarginazione.

Cosa si aspetta il sindacato da questa trasformazione in un tecnopolo ad alta innovazione?
Intanto vorremmo che questo spazio non perdesse le sue radici, la sua identità. Che lo spazio delle Reggiane venga recuperato è sicuramente un fatto positivo, ma il recupero deve essere in grado d'integrarsi con la città sia sul piano urbanistico sia su quello storico-sociale.

La Cgil di Reggio Emilia ha deciso però di regalare a tutta la città una mostra con tantissimi eventi: "Un tocco di classe". Di che 'tocco di classe' stiamo parlando? 
Stiamo ovviamente parlando della classe operaia, ossia di quel collettivo di donne e uomini che si resero protagonisti della più lunga occupazione di una fabbrica della storia italiana. La mostra la ripercorre tutta, non trascurando gli aspetti di quel quotidiano che fu anche un'esperienza di grande solidarietà da parte di gran parte della cittadinanza.

Per approfondire la storia delle Reggiane è consultabile sul sito www.livello9.it la pagina dedicata con testi, foto e video. Il progetto è curato dall’Istituto storico Istoreco e supportato dalla Cgil Reggio Emilia.