“Quando è arrivata la notizia della morte di Lorenzo Parelli la nostra scuola si è fermata”, dice quasi sottovoce il professor Francesco Mileto, dirigente scolastico dell’Istituto tecnico-industriale statale (Itis) di Polistena, 1400 studenti e studentesse per quattro indirizzi professionali, informatica, meccatronica, domotica, grafica e comunicazione per il sistema moda. Per il professor Mileto questo è il suo ultimo anno di scuola: ha compito 67 anni e la pensione è il suo prossimo orizzonte. Parla della scuola e dei suoi ragazzi davvero con una gran passione civile, quella che fa praticare la rivoluzione, il desiderio di cambiare il mondo nei gesti quotidiani del proprio lavoro. E questo è stato per lui l’insegnamento, provare a realizzare i propri sogni di ragazzo di trasformazione della società.

Da quando la legge l’ha introdotta si è ingegnato a costruire percorsi di alternanza in un contesto assai complicato come quello della piana di Gioia Tauro: nessuna industria, un'economia votata all’agricoltura, la scommessa quasi persa del Porto. E la ‘ndrangheta. E un Pil pro-capite tra i più bassi d’Italia: “Spesso le famiglie non possono nemmeno comprare i libri di testo, allora noi abbiamo cominciato ad autoprodurli”. Certo, gli istituti tecnici e quelli professionali hanno nel proprio Dna quello di “insegnare un lavoro”, altro che le materie curricolari, per questo l’idea dell’alternanza e delle esperienze formative nelle aziende ha un valore particolare.

Oggi si chiama Percorso per le competenze trasversali e l’orientamento, quando nacque fu denominata Alternanza scuola-lavoro. Un monte ore obbligatorio (tra un minino e un massimo) che i ragazzi e le ragazze del triennio delle superiori devono svolgere nei luoghi di lavoro preventivamente selezionati e convenzionati con gli istituti. Un tutor a scuola e uno in azienda devono verificare e garantire il contenuto formativo del tempo trascorso fuori scuola. Detta così sembra davvero tutto magnifico, ma affinché sia davvero un'esperienza positiva occorre uno sforzo organizzativo e di controlli davvero particolare. E servirebbe che le esperienze nel mondo del lavoro fossero coerenti con il ciclo di studi intrapreso, che le aziende – certo non tutte – non pensassero di aver a disposizione manodopera a bassissimo o nullo. E soprattutto servirebbe che il contenuto formativo fosse reale.

Mileto per poter assicurare, ovviamente parliamo di prima della pandemia, un minino di 250 ore di Pcto a tutti i ragazzi e le ragazze degli ultimi tre anni ha dovuto “allearsi” con le famiglie per quanto riguarda i trasporti, ma anche per trovare i luoghi di lavoro opportuni. I genitori artigiani ospitavano i compagni dei propri figli per “formarli”. “All’inizio non è stato facile – dice il professore –: abbiamo dovuto superare la diffidenza degli imprenditori alle prese con norme e controlli a cui non erano abituati. Ma ci siamo riusciti. Siamo riusciti a garantire quasi a tutti e a tutte l’esperienza in aziende legate al proprio indirizzo di studi. E quando non siamo stati in grado di garantire il minimo di ore a ciascun ragazzo, abbiamo portato il mondo del lavoro a scuola, ospitando in auditorium imprenditori a far lezione. D’altra parte son convinto che sia importante, in questo come in altri casi, la qualità e non la quantità”.

Certo, racconta, bisogna accompagnare i ragazzi nel loro percorso, verificare che il contenuto formativo sia reale e sono necessari controlli stringenti. Occorre un grande investimento sui formatori e sui controllori: “Il tema della sicurezza vale per i ragazzi, ma prima ancora vale per i lavoratori – aggiunge Mileto –. Abbiamo parlato a scuola della morte di Lorenzo, la verità è che in questo Paese manca una vera cultura della sicurezza, e su questo versante dovrebbero essere spese le migliori energie. Rimane il fatto che l’alternanza sia una delle non molte novità di questo decennio, della quale non potremmo più fare a meno”. Il punto di vista di Melito è particolare, quello di chi dirige un istituto tecnico e non un liceo, in un territorio dove la fame di lavoro è atavica: “Quando riusciamo a far lavorare i nostri ragazzi, quando li vediamo con la tuta indosso e con un contratto regolare in mano ci pare di aver fatto la rivoluzione”.

Francesco Pignataro vive a Catania e nel corso degli anni ha diretto diversi istituti professionali, dagli alberghieri a quelli dove si impara a gestire e manutenere impianti complessi. Per lui il valore dell’alternanza non sta tanto e non sta solo nell’imparare “il mestiere” che si pensa di voler fare da grande, ma “capire, imparare quali sono i valori della cultura del lavoro”. E questo anche nel miglior laboratorio del miglior istituto professionale si impara poco. Certo, un conto è la Lombardia, un conto sono le aree interne della provincia siciliana. Trovare aziende adatte a ospitare ragazzi e ragazze in alternanza è questione difficilissima, e la scelta compiuta da Pignataro è stato comunque preferire quelle piccole: più facilmente gestibili e controllabili e disponibili ad affiancare, come peraltro prevede la legge, un proprio tutor ai ragazzi, che deve ben interfacciarsi con il tutor della scuola. Altrimenti “il progetto non funziona”.

Come è evidente, non sempre va tutto bene. Pignataro racconta che più volte è accaduto di dover revocare convenzioni, perché le aziende facevano fare altro. “Mi è capitato di scoprire che i ragazzi che dovevano fare manutenzione sugli impianti di un albergo erano stati messi a dipingere le ringhiere. In diversi ristoranti è capitato che, invece di fare esperienza di sala o di cucina, siano stati occupati a lavare i piatti. Non è questo lo scopo della Pcto. Ma queste vicende non devono farci perdere di vista il valore dell’alternanza”. Il dirigente siciliano racconta una quantità di esperienze compiute negli anni dai suoi ragazzi, dal figlio del fabbro che seguendo il corso di saldatore è diventato così bravo da far da tutor ai compagni e poi tutti insieme sono andati al Nord a lavorare, fino ai ragazzi e alle ragazze dell’alberghiero impegnati in stage su navi da crociera o in alberghi in Abruzzo durante le festività natalizie. “Per loro – dice – quell'esperienza è valsa doppio: da un lato formativa dall’altro è stata anche una prima forma di guadagno, seppur piccolo, ma regolare”.

A sentir parlare questi due dirigenti che hanno passato la propria vita in scuole professionali, insomma, l’alternanza e la Pcto sono certamente da migliorare: certamente servono controlli e garanzie e servirebbe una maggior possibilità di convenzioni con aziende, ma restano un’occasione da non sprecare, tanto più in territorio dove “l’alternativa alla miseria è troppo spesso la criminalità organizzata”.