Ci siamo, pochi giorni e si ricomincia, e come di consueto fervono le attività preliminari: riunioni di dipartimento, incontri interdisciplinari, il primo collegio dei docenti, il consiglio d’istituto. Il tutto per cercare di prepararsi al meglio, organizzare le cose per bene, farsi trovare pronti, cercando di evitare gli errori compiuti lo scorso anno scolastico, quando l’emergenza sanitaria ha sparigliato le carte mettendo a nudo non poche fragilità, e cronici ritardi.

Qualche certezza l’abbiamo acquisita. Prima di tutto che la didattica in presenza può essere al massimo supportata per l'evenienza, ma mai sostituita. Poi  abbiamo certificato che i banchi con le rotelle non servono, se non per complicare ulteriormente la gestione delle classi, e che i soldi andrebbero spesi meglio, molto meglio. Abbiamo anche capito che occorrono risorse maggiori per quanto riguarda il corpo docente e il personale Ata. Le cattedre Covid, che quest’anno non verranno replicate, sono state un prezioso aiuto, ma non hanno risolto del tutto le criticità legate a un percorso didattico articolato in tempo di pandemia. Vedremo se in tal senso verranno presi provvedimenti adeguati, come si sta discutendo in questi giorni, attraverso la distribuzione di fondi messi a disposizione della dirigenza scolastica. Anche qui un dato è comunque certo, confermato dall’esperienza trascorsa: il precariato non aiuta.

Di un argomento invece mi sembra si stia parlando, anche quest’anno, ancora troppo poco, e riguarda l’opportunità di attrezzare nella maniera dovuta gli spazi all’aperto di cui sono dotati gli istituti scolastici, opzione sulla quale invece bisognerebbe insistere, dato che in gran parte della Penisola, se il tempo ci assisterà, circa un terzo dell’intero anno scolastico (i mesi di ottobre-aprile-maggio) verrebbe così superato, riducendo sensibilmente il rischio di contagio. Non solo.

La possibilità di poter fare lezione all’aperto aprirebbe scenari didattici diversi, sperimentali e perché no, innovativi, rinfrescando la tradizionale impostazione della lezione frontale, che rimane importante e per certi versi basilare, ma che ogni tanto va alternata con altri sistemi di insegnamento. Insomma, oltre la classica e bucolica immagine della lettura del libro a voce alta sotto l’ombra di un albero che perde le sue foglie o rifiorisce, si possono offrire spunti per diverse forme di apprendimento, per lavori da svolgere in gruppo (più difficili in aule chiuse), per laboratori interdisciplinari, per seminari tematici elaborati attraverso l’invito di ospiti ed esperti nelle materie affrontate.

In più, e non meno importante, gli spazi aperti potrebbero (potrebbero) evitare, per una parte dell’anno, l’utilizzo delle mascherine da parte di studenti e studentesse, un orpello al quale ormai siamo tutti abituati, ma che non può essere considerato la normalità, soprattutto per i più giovani. Potrà apparire banale, ma non guardare in viso, non poter guardare interamente il viso dei propri alunni, le loro espressioni, le loro reazioni, continua a rappresentare un elemento che viene a mancare nel  complesso percorso di formazione che un insegnante deve provare a tracciare insieme a ognuno di loro, alla ricerca di un rapporto docente-discente che non può costituirsi soltanto spiegando formule o memorizzando contenuti.

In ogni caso, e con l’auspicio di scongiurare ogni ipotesi di ritorno in dad, fosse pure per poco tempo, quando inevitabilmente ci troveremo chiusi tra le quattro mura della classe, noi adulti (insegnanti e personale scolastico, oltre alle famiglie) più che mai (più dell’anno scorso) non dovremo dimenticare che per il secondo anno consecutivo ci apprestiamo a vivere una situazione che non dovrebbe appartenere a nessuno, men che mai alle più giovani generazioni. Ci vorrà una volta in più, una volta di più, un ulteriore sforzo di comprensione, di disponibilità, e una notevole dose di pazienza, nei confronti di chi per cinque-sei ore al giorno rimarrà seduto davanti al suo banco (senza rotelle), in attesa di giorni migliori.

Nel rispetto dei propri ruoli, convinti di riuscire, ce la faremo anche stavolta.