Argentina Bonetti Altobelli nasce a Imola il 2 luglio 1866. Ricorderà lei stessa: “La mia infanzia non fu lieta né spensierata, avevo troppa sensibilità: ogni piccola contrarietà mi faceva soffrire profondamente. Non amavo i giochi infantili; ero invece appassionata alla lettura che preferivo al gioco… appena mi si regalava qualche soldo correvo nella bottega di un libraio… Mi formai una biblioteca, nella quale si ammucchiavano i libri più svariati e poco adatti alla mia età e alle mie comprensioni intellettuali. I miei zii, illetterati, come erano in quel tempo la maggior parte dei romagnoli, non erano in grado di sorvegliare e scegliere le mie letture. A volte si compiacevano della mia erudizione, preoccupati soltanto che non danneggiasse la mia salute. Ero assai gracile e la lettura continua pregiudicava il mio sviluppo fisico, tanto che i miei zii cercarono di impedirmi specialmente la lettura di notte. Per irrobustirmi fisicamente e togliermi la passione della lettura fui, per consiglio medico, mandata in campagna da parenti ove non era possibile trovare o acquistare un libro…”.

Viene allevata da uno zio materno, prima a Bologna, poi a Piacenza, infine a Parma, dove studia legge e frequenta i giovani repubblicani del gruppo di Guido Albertelli che le fanno tenere la sua prima conferenza sul tema dell’emancipazione della donna.

Si avvicina quindi al socialismo, attratta soprattutto dalle idee di Andrea Costa del quale dirà, “mi attrasse con tutto il fervore ardente e l’entusiasmo giovanile di fare qualcosa di utile e proficuo ad una classe diseredata, e specialmente per le donne, che erano maggiormente avvilite e sfruttate”.

Fautrice di molte battaglie per l’emancipazione femminile, compresa quella per il divorzio, sarà - spesso sola tra gli uomini - una donna per le donne, per la loro emancipazione, per la loro libertà.

“Si occupa con slancio ed attività speciale nell’organizzazione del proletariato agricolo locale - si legge in un’informativa su di lei - È sempre in giro per vari comuni a catechizzare le turbe che l’accolgono con grande simpatia (specie le donne). Giovane piacente e disinvolta parlatrice, esercita un autorevole ascendente sulle masse ignoranti che l’ascoltano e ne seguono gli ordini e i consigli”.

Argentina - di nome e di fatto - prenderà posizione su La Squilla anche a favore del suffragio femminile, da conquistarsi - diceva - “non per le viottole contorte delle distinzioni e dei privilegi, ma per la gran via maestra del suffragio universale  concesso a tutti, senza tener conto del sesso, delle condizioni, e anche agli analfabeti”.

Si impegnerà - fortemente - in sostegno del progetto di Anna Kuliscioff per una legge del lavoro femminile, sostenendo sempre i diritti delle donne per le donne: “Ho sempre ritenuto - era solita ripetere - che la posizione della donna sia stata, e sia tuttora doppiamente subalterna, rispetto sia all’uomo che alla considerazione sociale… il proletariato femminile non dava segni di risveglio. Ciò mi faceva pensare che le donne fossero ancora schiave del pregiudizio e della falsa morale che vorrebbe farne dei ninnoli di lusso nelle alte classi sociali e delle serve nella classe operaia. Bisognava che le donne assurgessero alla coscienza della propria dignità di creature umane. Esse soffrivano più degli uomini le ingiustizie sociali, perché erano pagate peggio degli uomini, e dovevano nutrire in mezzo a mille privazioni i figlioletti procreati nel dolore. Quei moralisti che sogghignavano sulle donne che partecipavano alla vita politica e che le avrebbero volute mandare a fare la calzetta, non pensavano che alle operaie mancavano persino i soldi per comprare il pane ai loro bambini”.

Membro della Commissione esecutiva della Camera del lavoro di Bologna e del Consiglio direttivo della CGdL fin dalla fondazione, contribuisce in maniera fondamentale alla nascita della Federazione nazionale dei lavoratori della terra, una delle più importanti categorie organizzate dal sindacato, della quale sarà ininterrottamente segretaria fino al suo scioglimento ad opera del fascismo.

Riparerà allora a Roma dalla figlia, mantenendosi con umili lavori: realizza ad esempio fiori da ornamento e collabora con la biblioteca di quell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale che aveva, tra gli altri, contribuito a fondare, scrivendo per pochi soldi articoli tecnici - mai firmati - sui sistemi previdenziali.

Rifiuterà - sempre, convintamente - ogni proposta di Benito Mussolini che definirà , seppur non direttamente, ’Fascista proletario (…)  sicario pagato dagli agrari (…) tiranno della reazione (…) flagellatore dei deboli (…) assassino dei tuoi fratelli”.

“Io ti conosco - scriveva già nel 1922 -  fascista dal berretto nero e con l’insegna della morte, che terrorizzi i lavoratori. Sei nato nella palude del ferrarese che confina con il Polesine. Sei figlio dei lavoratori della terra anche tu, ed i tuoi diedero sudore e vita al solco per produrre il grano ed il riso per i padroni. La tua infanzia non ebbe sorrisi e carezze e fu martirizzata da ogni sofferenza. Tu crescesti più nella strada che nella casa, più ignudo che vestito. Oggi sei fascista, sicario pagato dagli agrari per distrugger col bastone le conquiste che i tuoi compagni lavoratori hanno ottenuto”.