Quest'anno, come lo scorso, i divieti di assembramento e le norme sul distanziamento interpersonale rendono impossibile la parata delle forze armate e la folla ai Fori Imperiali. Eppure la retorica militarista, anche in tempi di pandemia, continua ad adombrare la Festa della Repubblica. Ne abbiamo parlato con Sergio Bassoli, del Dipartimento politiche globali della Cgil e coordinatore della Rete pace e disarmo.

Il 2 giugno ricorda la vittoria al referendum del 1946 sulla monarchia. Le forze armate hanno già la loro giornata, il 4 novembre. Perché la Repubblica è solitamente festeggiata con un'esibizione anacronistica di carri armati, blindo e soldati in uniforme. C'è un equivoco? Da dove nasce?

Sì, possiamo anche chiamarlo “equivoco culturale”. Basti pensare a come venivano considerati i renitenti alla leva, gli obiettori di coscienza, o chi ha preso la strada della non-violenza come forma di lotta e di resistenza al fascismo, per poi arrivare all’interpretazione che nel tempo è stata data all’articolo 52 della Costituzione dove si dice che: “la difesa della patria è un sacro dovere del cittadino”. Per difesa si è sempre voluto considerare unicamente l’impegno contro il nemico, l’invasore, il sacrificio eroico della propria vita per difendere la patria. Da cui la morale che la difesa esiste in quanto esiste la guerra, e viceversa. Con la riforma della leva, da obbligatoria a volontaria, il riconoscimento dell’obiezione di coscienza e del servizio civile si è aperta la strada ad un cambiamento culturale più coerente con lo spirito, i valori e le finalità della nostra Costituzione e dell’evoluzione del diritto internazionale. Ma di strada da percorrere ce n'è ancora molta, per acquisire come societ, il concetto di difesa civile, nonviolenta, disarmata della patria, fondata non più sul paradigma guerra-pace, ma pace e giustizia sociale, pace e diritti universali. Quale miglior difesa se non quella di costruire un mondo basato sul benessere, sulla sicurezza e sullo sviluppo sostenibile per tutti. Non a caso, questa è la finalità delle Nazioni unite, sorte dalle macerie delle due grandi guerre del secolo scorso. Ma la storia ci insegna che tradurre in pratica le buone intenzioni e le dichiarazioni è un’arte difficile. L’ultimo esempio lo vediamo in questa fase storica, con la gestione nazionalista dei vaccini, e nel nostro paese con un generale degli Alpini a gestire la campagna vaccinale.

Eppure quel 2 giugno 1946 aprì le porte a una Costituzione che all’articolo 11 recita: “L’Italia ripudia la guerra”.

Esatto, ma continuiamo ad investire ed a produrre armi che servono per fare la guerra. Ospitiamo nel nostro territorio testate nucleari a Ghedi e ad Aviano, partecipiamo ai programmi internazionali per la produzione di modelli sempre più sofisticati di armamenti: vedasi F-35, killer robot, droni, e quant’altro. Il nostro paese non ha ancora ratificato il Trattato per la messa al bando delle armi nucleari. Scopriamo ogni giorno la presenza di armi prodotte in Italia utilizzate nei teatri di guerra, dallo Yemen a Myammar, solo per citare i casi più noti alle cronache dell’ultimo periodo.

Cambiano i governi, ma la spesa militare del nostro Paese cresce costantemente. E' una scelta ben precisa. Cosa significa?

I dati del Sipri sono chiari: siamo l’undicesimo paese al mondo per spesa militare, ed il quarto dell’Unione Europea. Nel bel mezzo della pandemia nel Def del 2020 erano previsti 6,8 miliardi di euro per l’acquisizione di nuovi sistemi di arma del comparto militare mentre il sistema sanitario e quello educativo mostravano carenze e difficoltà strutturali, incapaci di affrontare la gestione ordinaria, immaginiamoci con la crisi e le emergenze generate dalla pandemia. La Rete italiana pace e disarmo, insieme ad altre organizzazioni ha chiesto una moratoria, la sospensione di quella spesa per dirottare quelle risorse a salute e servizi di sostegno al sistema scolastico. Ma anche da noi la lobby delle armi esiste, nonostante non superi l’1% del Pil, l’industria militare è fiorente ed è considerata un fiore all’occhiello necessario ad uno Stato che vuole stare nel club dei grandi, per trattare e contrattare commesse, appalti, licenze, concessioni con quegli stati che detengono gas, petrolio, minerali preziosi molto interessati ad ad avere in cambio forniture militari per mantenere ordine e controllo della situazione. Nonostante la crisi economica causata dalla pandemia, nel 2020 si sono concesse licenze per esportazione di sistemi di arma per circa 4 miliardi di Euro. Non è un caso che i principali clienti dell’industria militare sono petro-monarchie, dittature, teocrazie, come Turchia, Eigitto, Quatar, Turkmenistan, Arabia saudita. Noi siamo dentro l’alleanza atlantica, la Nato. Già dall’amministrazione Obama, gli Usa sono stanchi di sostenere gli oneri dell’Alleanza e chiedono ai partners di aumentare al 2% la propria spesa militare, e se continuiamo a stare dentro quella logica di geo-politica, anziché puntare ad un’alleanza europea, ad un sistema di difesa (non aggressione) europeo combinato con una cessione reale di sovranità degli stati membri in materia di politica estera e di difesa all’Unione, siamo obbligati a spendere e a partecipare ad azioni militari che nulla hanno a che vedere con il concetto di difesa della patria e che sono in contraddizione con il principio di “ripudio della guerra”.

Anche gli investimenti privati puntano sempre più sulle armi. E' un mercato proficuo, evidentemente.

Sì, a quanto pare è una delle industrie sicure. Noi siamo tra i primi dieci produttori di armi. La nostra Leonardo è un leader di mercato, altro che produzione civile sostenibile, ricerca per la mobilità pulita, città eco-sostenibili, decarbonizzazione, etc. Sembra più facile e più conveniente vendere un cacciatorpediniere all’Egitto di al Sisi ed elicotteri da combattimento alla Turchia di Erdogan, o al Quatar.

Come si fa a liberare il 2 giugno dalla retorica militarista e bellica e a riappropriarsene come festa democratica e di popolo?

Il 2 giugno è la festa della Repubblica, un evento straordinario che ha cambiato radicalmente la nostra comunità. Liberati dal fascismo e dalla monarchia, ci siamo emancipati dando vita ad una democrazia rappresentativa, con il voto universale, con una costituzione fondata sui diritti uguali per tutte e per tutti. Un evento unico nella nostra storia che dovrebbe essere ricordato e praticato ogni giorno, per fare festa tutti insieme. Per il sindacato, che significa per lavoratori e lavoratrici, dovrebbe essere un giorno durante il quale si rinnova il valore ed il principio dell’Art. 1 della nostra costituzione che l’Itaila è una nazione, una comunità fondata sul lavoro. Il lavoro che non c'è per tutti, che ancora oggi non è sicuro e si muore nei cantieri, nei luoghi di lavoro. E qui ritorna il tema della difesa, difesa della patria significa innanzitutto garantire sicurezza, salute, servizi ai propri cittadini, questo era l’ideale di chi ha fondato la nostra Repubblica, insieme all’ideale della pace, della solidarietà e della cooperazione tra i popoli, ripudiando la guerra. Tutti quanti dobbiamo uscire e liberarci della retorica militare, delle fanfare e delle sfilate marziali, per ridare il senso di quell’evento straordinario che ci ha permesso di conoscere un’altra esperienza di vita, mai vissuta prima dai nostri avi: la democrazia, i diritti universali, le libertà. Oggi in prima fila a ricevere i ringraziamenti di tutta la comunità italiana ci dovrebbero essere medici, infermieri, docenti, lavoratrici e lavoratori dei servizi, i giovani che hanno continuato a svolgere il loro servizio civile, i volontari della protezione civile ed anche i militari, perché non si tratta di essere contro, ma di riconsiderare e ristabilire pesi e misure della nostra società, con entrambe gli occhi e la ragione rivolte alle sfide del futuro.