Il Trentino rimane in zona arancione, ma il livello di contagio, seppure in leggera flessione, rimane alto e si attesta al 6%. La Provincia autonoma è provata economicamente dallo stop alla riapertura degli impianti sciistici con fortissime ripercussione sul settore turistico e sull’indotto, già duramente colpiti, e ora deve fare fronte agli effetti di questa nuova ondata pandemica e una campagna vaccinale incerta.

Il segretario generale della Cgil trentina, Andrea Grosselli, manifesta le sue preoccupazioni e lancia un allarme: “Dopo alcune settimane di tregua da febbraio i contagi hanno ricominciato a correre e le nostre strutture sanitarie sono nuovamente sotto pressione. C’è di nuovo il rischio di implosione della sanità nelle prossime settimane”.

Il timore è dell’impossibilità di curare al meglio le persone malate di Covid, ma anche coloro che sono affetti da altre patologie, come già successo a novembre quando i livelli reali di contagio erano andati fuori scala con un eccesso di mortalità senza uguali rispetto alle altre regioni del nord-est.

Come accade da un anno a questa parte, a preoccupare non è solo la questione sanitaria, ma anche i suoi effetti drammatici sul fronte economico, occupazionale e sociale. Il leader della Cgil del Trentino ricorda che nella provincia “sono venute a mancare 32mila assunzioni nel corso del 2020, con un calo netto del 20%. Il settore più colpito è il turismo: non sono stati assunti circa 21mila lavoratori stagionali. Con il protrarsi dell'emergenza sanitaria questo comparto, soprattutto la zona del Lago di Garda, perderà anche la Pasqua con il rischio concreto di vedere evaporare altri 10mila posti di lavoro a marzo”.

“Serve che il decreto Sostegno garantisca integrazioni al reddito per questi lavoratori che sono ormai senza ammortizzatori – conclude Grosselli attribuendo anche responsabilità alla politica locale -, in considerazione inoltre del fatto che la giunta leghista locale non ha messo in atto misure significative per sostenere le famiglie colpite dalla crisi”.