Ogni volta che vengono coinvolti, come nel caso piacentino, appartenenti alle forze di polizia viene inevitabilmente a intaccarsi la fiducia del cittadino verso gli apparati della sicurezza e, quindi, verso le istituzioni dello Stato. Ciò a fronte del comportamento impeccabile della stragrande maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori che vestono una divisa. Dalle prime risultanze, esito delle indagini sulla caserma piacentina, si configurerebbe, purtroppo, una situazione di degenerazione criminale che avrebbe interessato buona parte dei militari di quella stazione coinvolti a vario titolo e con differenti livelli di responsabilità.

Il dato che emerge con forza è la difficoltà nel far venire alla luce episodi gravissimi e reiterati nel tempo con il seguente interrogativo: perché quando una struttura “devia” chi dirige non è in grado di fermarla? Poiché non siamo in presenza di casi isolati che hanno coinvolto le diverse forze di polizia, polizia locale compresa, dobbiamo perciò riflettere se siamo in presenza di un dato permanente. In tal caso dobbiamo onestamente porci la domanda se non vada “rivisto” il modo di gestire tali strutture. Il tema è pertanto il seguente: se siamo in presenza di avvisaglie o di elementi sintomatici che facciano sospettare delle criticità – quali eclatanti e ripetute operazioni di polizia giudiziaria con sequestri di armi o sostanze stupefacenti effettuate da uffici con ridotte risorse di uomini e mezzi – perché non si è dato corso ai dovuti e indispensabili accertamenti da parte dei comandi superiori?

Credo che sia di fondamentale importanza che ogni amministrazione o corpo abbia al suo interno un efficiente organismo deputato al controllo non meramente formale dell'attività svolta da ogni ufficio, dal più grande al più piccolo; cosa che si realizza sia attraverso la catena di comando, sia in maniera endogena rispetto alle caratteristiche dei gruppi. Troppo spesso si agisce ex post e non ex ante attraverso la prevenzione e la presenza di chi ha una responsabilità. Cosa si può fare?

Occorre maggiore trasparenza, evitare gli isolamenti con un management moderno capace di gestire al meglio il personale. Aggiungo anche una maggiore formazione del personale che porti a un reale controllo sociale del gruppo attraverso l’etica del servizio. Una sorta di modello di casa di vetro al servizio del cittadino affinché la nostra attività non diventi mai autoreferenziale. Un sistema troppo rigido, chiuso, e dove il controllore coincide con il controllato, è un sistema che necessariamente degenera. Il controllore tuttavia, oltre ad essere distinto dal controllato, deve essere un soggetto indipendente che riscuote la fiducia dei militari e di quanti vogliono denunciare tutto ciò che non va. Le libertà sindacali sono sicuramente un fattore potente per rendere il sistema trasparente e garante della legalità nel mondo militare. I comandi devono capire che questo è un fatto che li può aiutare.

Daniele Tissone, segretario generale Silp Cgil