Tanta retorica sulla lotta alla mafia, sull'importanza del recupero e riutilizzo dei beni confiscati, sul lavoro regolare che sconfigge quello nero: parole spazzate via in un secondo dalla “clamorosa inefficienza di una macchina regionale che, in piena fase due dell’emergenza Covid-19, costringe alla fame i nostri e altre decine di migliaia di lavoratori siciliani, ai quali non è in grado di garantire il pagamento della cassa integrazione”. È durissima la denuncia che arriva da una rete di imprese e associazioni antimafia siciliane, tra cui Libera Palermo, Addiopizzo e Arci Sicilia, che hanno scritto una lettera al presidente della Regione Nello Musumeci e alle commissioni antimafia regionale e nazionale.

“A distanza di sessanta giorni dal lockdown – spiegano gli estensori della lettera-denuncia - la Regione Sicilia ha processato soltanto il 4% delle pratiche di cassa integrazione ricevute. Ma in questo modo c'è il rischio concreto che le mafie traggano giovamento dalla pandemia e dalla crisi, acquisendo consenso e manovalanza mediante prestiti a tassi usurari e distribuzione di generi di prima necessità”.

Un rischio che avverte fortemente anche la Cgil: “È indubbio che il quadro è critico e la Regione ha gravi responsabilità – conferma a Collettiva Francesco Piastra, della Cgil Palermo – i soldi della cassa in deroga dovevano arrivare ad aprile, invece siamo a maggio inoltrato e ancora solo una piccola parte di pratiche è stata esitata. Ma anche le banche, con le quali è stato siglato un accordo per anticipare gli importi, non stanno facendo appieno la propria parte”.

Intanto la situazione a livello sociale è molto preoccupante. “Lo si vede anche a occhio nudo – racconta ancora Piastra – Proprio ieri sono passato davanti a un banco dei pegni, qui a Palermo, e c'era una fila impressionante. È chiaro che quando ci sono tanti cittadini in difficoltà, senza reddito, usurai e mafiosi hanno gioco facile a farsi avanti. Ecco perché noi chiediamo alla Regione di fare di più, mettendo più personale a lavorare le pratiche, ma anche all'Inps per quanto di sua competenza”.

Insomma, la risposta in questa situazione non può che essere dello Stato. Come hanno sottolineato Libera, Arci, Addiopizzo e le altre realtà nella loro lettera, sono attualissime le parole del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, assassinato da Cosa nostra il 3 settembre 1982: lo Stato dia come diritto ciò che la mafia dà come favore.