“Levati i guanti e vatinni a casa”. È così che si licenziano le persone nella Sicilia dei pomodori pachino. Un cenno del capo, la voce indispettita del padrone, la cacciata senza appello. È accaduto sempre e accade anche oggi. Anno 2020 con una pandemia in corso e la fame di lavoro che spaventa. “Ieri pomeriggio ho ricevuto una chiamata e una richiesta di aiuto per una signora, operaia in uno dei più grandi magazzini di lavorazione dei prodotti ortofrutticoli di Vittoria”, denuncia Peppe Scifo, segretario della Cgil di Ragusa. “La donna è stata licenziata in tronco, verbalmente, direttamente dal padrone. Il motivo? Un banale disguido con il capomastro. Lei è una stagionale, contratto a tempo determinato, anche se rinnovato di stagione in stagione, ed è straniera come il 40 per cento della forza lavoro qui da noi”. Scifo sa già che le strade che si potranno percorrere per difenderla saranno poche: tanti, troppi gli strumenti di ricattabilità in mano alle imprese. Ora c’è la tutela del decreto Cura Italia che sospende i licenziamenti, ma la donna ha paura di tornare in magazzino e forse si accontenterà di recuperare solo qualche soldo. 

La incontrerò domani ma intanto posso già dire che questi che se ne vanno in giro in Jaguar, Porsche e Maserati non sono altro che patrunazzi”. Così li chiama Scifo questi imprenditori “con un altissimo e milionario volume d'affari, tra i più alti del territorio. Ricchezze e potere inversamente proporzionali alla loro cultura. Con qualche rara eccezione, questa classe imprenditoriale è priva di strumenti competitivi e competenze e ritaglia i suoi margini di profitto solo attraverso lo sfruttamento e il sottosalario, all’inseguimento di quella logica del sottocosto incentivata dalla grande distribuzione organizzata”.

È indignazione profonda quella del sindacalista siciliano che attacca anche “la politica degli ultimi trent’anni che ha finito per mettere questi personaggi al di sopra di ogni cosa, arrivando persino a rappresentare loro –  grandi e piccoli sfruttatori come i veri sfruttati”. Un capovolgimento della realtà rosso vergogna. Negli anni passati fu proprio dalla Camera del lavoro di Ragusa che partì la denuncia che sconvolse l’Italia: braccianti rumene abusate nei campi e nei letti, dai loro caporali che esercitavano così il proprio potere assoluto, padroni sul lavoro e fuori, fino a violare i corpi, fino a quell’impennata di aborti clandestini registrata tra le donne straniere in terra italiana.

Aguzzini se va male, cani da guardia quando va meno peggio. La storia che racconta oggi Scifo è la fotografia di un altro pezzo della filiera agricola: nei magazzini dove il lavoro, perlopiù femminile, “viene scandito dalle urla del capomastro che spesso ha funzione di pitbull”. In quei luoghi  non si può fiatare, parlare, non c’è spazio per il lamento, mai. Pena la denuncia al padrone che sorveglia dall’alto del suo ufficio, che tutto scruta e tutto controlla, come nelle carceri ottocentesche. “Come nel panopticon – conclude Scifo –, se scende tra le operaie è solo per umiliarle, per pronunciare quella frase: ‘levati i guanti e vatinni a casa’”.