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Razan è incinta e pronta a partorire, ma rimane nella sua casa, nella striscia di Gaza, senza nessuno che possa prendersi cura di lei o aiutarla con il parto, mentre prosegue sempre più duro il conflitto israelo-palestinese. È la madre, Amal Abu Aisha, una donna della Striscia fuggita dalla sua casa, a condividere le sue preoccupazioni per sua figlia e per lo sfollamento verso Sud. Lo ha fatto con gli operatori umanitari di ActionAid, l’organizzazione non governativa che opera da anni nei Territori palestinesi occupati, sostenendo la popolazione che vive senza accesso ai servizi di base e ai più fondamentali diritti umani.
"Non so cosa fare – racconta Aisha -, visto che suo marito sta svolgendo il suo dovere di medico negli ospedali di Gaza in questa difficile situazione. Non posso raggiungerla e lei non può spostarsi in ospedale a causa dei continui attacchi e del sovraffollamento degli ospedali. Ho solo bisogno di starle accanto, è il suo primo figlio. Non riesco a immaginare come possa sopportare da sola i forti dolori del travaglio". Nel rendere nota questa testimonianza, ActionAid riporta anche la voce di Riham Jafari, coordinatore Advocacy e Comunicazione per la Palestina, il quale spiega che a Gaza, mentre migliaia di persone fuggono verso sud abbandonando le proprie case e comunità, “è preoccupante assistere alle minacce di colpire ospedali e infrastrutture civili, una enorme violazione del diritto internazionale e disprezzo per le vite umane”.
La popolazione palestinese è vittima della strumentalizzazione fatta da Hamas, che con l’efferato attacco del 7 ottobre l’ha di fatto mandata al macello, ed è vittima della risposta israeliana, delle bombe, come della decisione egiziana di non aprire il varco per corridoi umanitari. La preoccupazione più forte, spiegano da ActionAid, riguarda “l'impatto devastante sulle 50.000 donne incinte presenti a Gaza in questo momento e sui neonati, che vengono lasciati senza cure mediche essenziali e senza la sicurezza che meritano, mentre viene chiesto alla popolazione civile di compiere la scelta impossibile di fuggire senza alcuna garanzia di sicurezza o di rimanere a rischio di morte quasi certa".
Gli ospedali della striscia, dove le donne in stato di gravidanza potrebbero avere assistenza, sono ormai al collasso e 22 di essi hanno ricevuto l’ordine di evacuazione dalle forze militari israeliane. Attualmente, 35.000 persone si stanno rifugiando nell'ospedale più grande di Gaza, Al-Shifa, dal quale Bisan Odehis, 24 anni, giovane attivista di ActionAid Palestina, in una video testimonianza, racconta: "Sorprendentemente siamo ancora vivi. Prima di diventare un rifugio, questo era uno degli ospedali più importanti e più grandi della Striscia di Gaza. Le condizioni qui sono miserabili. Siamo senza acqua, senza cibo, senza igiene. Le persone dormono e giacciono per terra, nei corridoi e ovunque all'interno dell'ospedale".
Ad aggravare la situazione, la chiusura del valico di Rafah, quello tra Gaza e l’Egitto e che è l'unico passaggio fuori dalla Striscia per milioni di persone. ActionAid spiega che con la chiusura la popolazione di Gaza rimane esclusa “da un'assistenza umanitaria indispensabile e da qualsiasi possibilità di rispettare gli ordini di evacuazione. Donne, bambini, anziani e feriti hanno bisogno di cibo e acqua a Gaza urgentemente”. A Gaza infatti l’acqua è sempre più scarsa e si sta esaurendo, “i rifornimenti umanitari provenienti dal Marocco e dall'Egitto non riescono a raggiungere coloro che ne hanno più bisogno. La popolazione di Gaza è sull'orlo di una catastrofe umanitaria e ha un disperato bisogno di cibo e acqua per sopravvivere”.
Il dramma in atto spinge quindi ActionAid a supplicare “il governo egiziano di aprire il valico di Rafah per consentire il raggiungimento di forniture salvavita a coloro che ne hanno disperatamente bisogno” e a chiedere l'immediata revoca dell'ordine di evacuazione e la garanzia della piena protezione e sicurezza dei civili.