L’Ucraina non è una, perché se ci sono città come Kiev o quelle più vicine al confine russo, che sono sotto le bombe da oltre un anno e mezzo o con i militari russi in casa, ce ne sono altre, nelle quali non si sente il fragore delle esplosioni, ma solamente le ripercussioni sociali ed economiche del conflitto, dove la routine quotidiana non ha subito evidenti cambiamenti. Intervistiamo Valentina, che abita a Leopoli, ha due figli, una nuora, una nipotina, un compagno, ma sono solamente gli uomini ormai che lavorano, sono invece disoccupate le donne, che già prima si spostavano in Italia, in Germania, in Francia per lavorare magari come badanti, come lei stessa ha fatto.

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I prezzi di tutto sono andati alle stelle – ci dice Valentina – mia madre prende l’equivalente di 80 euro al mese di pensione, ma ora un chilo di carne di maiale, e nemmeno scelta, costa 5 euro e l’affitto si porta via quasi l’intero assegno. Noi figli dobbiamo aiutarla, ma neanche per noi è facile vivere”.

Mi manda le foto di una Leopoli imbiancata, con temperature sotto o zero, bellissima, dove la vita sembra scorrere tranquilla, fatto salvo il fatto che può capitare che si sentano le sirene antiaeree, perché è accaduto nei mesi passati che i russi tentassero di attaccare una centrale elettrica alla periferia di Leopoli. “In città ci sono anche turisti – racconta – sono giovani, sono polacchi, inglesi... Non capisco”. Ma per la gran parte degli abitanti di Leopoli il problema sono gli ucraini di lingua russa, i profughi, che dall’inizio della guerra sono fuggiti dalle loro città per recarsi a nord-ovest, nelle regioni non direttamente coinvolte dal conflitto. “Sono tanti, tanti, tanti e parlano solamente russo, non vogliono parlare l’ucraino”, lamenta Valentina, ricordando che persino lei, quando ha lavorato in Italia, ha imparato la nostra lingua, senza pretendere di continuare a usare solamente la sua.

Un popolo spaccato, lo era prima e lo è ancora più adesso, in questa guerra che Valentina dice essere convinta che sarà lunghissima, non ne riesce a vedere la fine. La preoccupazione è principalmente per il futuro della sua nipotina, ma anche per figlio, che per fare il magazziniere deve andare a lavorare a oltre cento chilometri da casa, per la nuora che lavora in una pasticceria, ma orami solamente un paio di giorni al massimo in una settimana.

“Ci sono tante persone che non vogliono più Zelensky – mi dice Valentina quando le chiedo se continua a sostenere l’attuale governo ucraino -. Lui non è un politico e invece ci vuole qualcuno che sappia di politica. Finché ci sarà la guerra dovremo tenerlo, ma poi basta”.

In una videochiamata vedo quanto la sua casa e la mia siano simili e fatico a capacitarmi che quello è un appartamento di un Paese in guerra, ma Leopoli dista 1000 chilometri dai focolai bellici, dalle violenze inaudite e dalla distruzione. Sono i mille chilometri che ha percorso il ragazzo che Valentina ha incontrato oggi sull’autobus: “Non posso non piangere – mi dice con la voce rotta – era un giovane soldato, con uno zaino in spalla, e parlava con la sua mamma, stava tornando a casa per una licenza. Avrebbe potuto essere mio figlio”.