(da Il Mese di novembre 2008)

Volevamo provare ad andare controcorrente. Si parla di America: la crisi, le case, i fallimenti. Sempre America. Le elezioni lì sono state un po’ di tutti. Per un attimo – fatte poche eccezioni – in tanti dobbiamo probabilmente confessare di aver fantasticato sull’eventualità di aspettare il verdetto finale della partita Obama-McCain in una città qualsiasi degli Stati Uniti. Nel frattempo, però, noi andavamo controcorrente. Volevamo rispondere a una domanda che, comunque, con l’America c’entra pure: a che punto è l’Europa? Cosa ci si può aspettare dal Vecchio Continente in una situazione di crisi economica globale e dopo l’elezione di Obama? Possono questi due eventi, diventare occasione per riscoprire un’Europa politica? E, infine, quale sarà l’atteggiamento degli Usa nei confronti dell’Europa stessa? Lo abbiamo chiesto a Lucio Caracciolo: la persona più adatta per uno sguardo di qua e uno di là dall’Oceano. E lo studioso, va detto subito, non è particolarmente ottimista sul futuro “politico” del nostro Continente, che vede ancora come una somma di Stati nazione. Caracciolo ha fondato nel 1993 Limes, la rivista di geopolitica bimestrale che tuttora dirige. Laureato in filosofia, giornalista del gruppo editoriale l’Espresso, è considerato tra i più autorevoli esperti di geopolitica in Italia. Nata subito dopo il crollo del Muro di Berlino e dell’Unione Sovietica, la sua rivista si fonda su competenze e approcci diversi: materiali storici, itinerari geografici e percorsi sociologici, oltre a trattare di questioni di carattere diplomatico e militare. L’importante è che quello di cui si discute, nero su bianco, si possa raccontare anche sull’immancabile cartina geografica.

Lo spunto per avviare la nostra conversazione ce lo ha offerto proprio Limes, che nel numero di novembre-dicembre propone un articolo di A. Wess Mitchell, direttore di ricerca presso il Centro di analisi politica europea di Washington. Si tratta, in realtà, di una lettera aperta al nuovo presidente degli Stati Uniti, presentata con il titolo “Europa 3.0. Come restare decisivi nel Vecchio Continente”. “Presidente Obama, l’agenda politica degli Stati Uniti per l’Europa, che lei erediterà dopo aver assunto l’incarico – scrive Wess Mitchell – venne concepita vent’anni fa per un mondo che non esiste più. (…) Lei sarà il primo presidente americano che dovrà affrontare la nuova realtà psicologica del multipolarismo. È ormai tempo di sviluppare un nuovo orientamento verso l’Europa, che compensi i minori mezzi d’intervento con il perseguimento di più modesti e intelligenti fini politici”.

Tutti temi che affrontano in maniera piuttosto diretta le complessità del mondo contemporaneo, legate ai nuovi equilibri geopolitici, e alle speranze più o meno giustificate che in molti, anche nel Vecchio Continente, ripongono in questa elezione del primo presidente americano “multietnico”, già di per sé di rilevanza storica, indipendentemente dalle scelte che verranno effettuate da Barack Obama durante il suo mandato. Avviandosi alle conclusioni, lo stesso Mitchell spiega: “Se durante la prima fase della politica europea lo spazio geopolitico del Vecchio Continente veniva visto come un avamposto assediato, mentre nella seconda fase appariva come un alleato internazionale e un centro d’irradiazione della libertà, nella terza fase dovrebbe essere considerato la base geopolitica vitale della politica internazionale americana”.

Partendo dunque da alcuni degli spunti offerti da questa lettura, ci rivolgiamo a Lucio Caracciolo per saperne qualcosa di più. Mentre prendevano corpo i risultati delle elezioni presidenziali americane, gli avevamo chiesto se la nuova America – quella di Barack Obama e della folla democratica riunita a Chicago la notte del 4 novembre – avrebbe guardato a noi, magari grazie alla complicità e alle conseguenze di una crisi economica gravissima.

“L’America dovrà, per forza, in qualche misura, guardare all’Europa – risponde Caracciolo – perché ha bisogno di alleati e di sostegno nelle varie imprese, di guerra o non, in cui è impegnata nel mondo. Guarderà al Vecchio Continente rivolgendosi, però, ai singoli paesi europei piuttosto che all’Europa in senso pieno, perché quest’Europa ancora non esiste”.

Il Mese Tuttavia, la bolla immobiliare, la crisi dei mutui e delle banche, quella economica sono partite dal paese a stelle e strisce. E forse, ma solo forse, l’Europa potrebbe azzardare una sua via d’uscita e recuperare un ruolo e un peso nel panorama politico internazionale. Forse, ma solo forse, con la crisi l’Europa potrebbe avere una spinta in più ad affermarsi anche come unione politica e non solo economica…

Caracciolo L’Europa è un’unione di Stati-nazione. Non esiste uno Stato europeo. Per questo trovo anche un po’ troppo facile prendersela con l’Europa, perché, non esistendo, semplicemente non le si può muovere alcuna critica.

Il Mese Nessuna Europa piena, politica. Solo singoli paesi europei, dunque?

Caracciolo Sicuramente ci sono dei paesi europei che hanno un certo grado di integrazione.Tuttavia le identità e la forte autonomia dei governi nazionali prevale nettamente, specialmente in materie determinanti come, per esempio, quella fiscale. Per questa ragione sarà cura degli Stati Uniti, ma anche di qualsiasi altro partner esterno all’Europa, trattare singolarmente con le nazioni finché è possibile.

Il Mese I mezzi di comunicazione, l’economia, tutto ci parla di un mondo in cui gli Stati Uniti non sono più la Superpotenza con la S maiuscola. All’inizio del mese di ottobre la grande emergenza economica sembrava aver compattato l’Unione Europea. Almeno a sentire Jean Claude Trichet, il presidente della Banca centrale che, uscito dal vertice dell’Eurogruppo, aveva dichiarato che la forza dell’unità dimostrata da quell’incontro era un elemento fondamentale di fiducia. Torniamo, allora, alla geopolitica: quali prospettive si aprono dal punto di vista degli equilibri di potere?

Caracciolo Gli Stati Uniti restano una superpotenza, ma non sono più l’unica. Nel senso che vi sono altre potenze che ancora non sono alla stessa altezza degli Stati Uniti ma che vi si avvicinano parecchio e sono comunque molto importanti. Penso innanzitutto alla Cina. Penso al ritorno della Russia. Penso anche a potenze regionali come l’India, il Brasile o il Sudafrica. Tutte realtà di cui l’America deve tenere conto perché anche se fosse la più grande delle superpotenze mai esistite non potrebbe trascurare i leader regionali.

Il Mese In questo elenco di superpotenze globali o regionali che lei cita manca l’Europa...

Caracciolo Esistono delle potenze europee di un certo livello: la Francia e la Gran Bretagna, innanzitutto, che sono due potenze nucleari e membri di diritto permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu; la Germania che è la terza economia mondiale e il paese leader in termini di export. Poi ci sono, a un livello notevolmente più basso, altri paesi come l’Italia e la Spagna. Queste nazioni hanno un ruolo significativo non solo in ambito regionale ma anche globale e la cosa, evidentemente, conta.

Il Mese Talvolta sembra che il vecchio continente sia animato da punti di vista che gli inglesi definirebbero parochial, provinciali. Pensiamo, ad esempio, alle recenti discussioni in materia di politiche ambientali. L’Unione Europea riuscirà a proporre iniziative di più ampio respiro che siano veramente internazionali?

Caracciolo Ho l’impressione che l’ambiente, data l’attuale situazione economica e finanziaria, sia passato piuttosto in terza linea. Fa parte più della propaganda che della politica. A parole ci si può mettere d’accordo su tutto. Anche sul famoso 20-20-20 della signora Merkel (20 per cento di riduzione di Co2 e 20 per cento in più di energia rinnovabile e di efficienza energetica entro il 2020, ndr), nei fatti ognuno si fa gli affari suoi. A cominciare dagli Stati Uniti che non hanno ratificato finora e non ratificheranno mai Kyoto e che non accettano vincoli ambientali di un certo peso perché li considerano una violazione della propria sovranità nazionale.

Il Mese Torniamo alle recenti elezioni americane. Per una vita politica che sembra sulla via della rinascita, come quella americana, ce n’è un’altra, quella europea, che pare sonnecchiare. Abbiamo seguito tutti le elezioni alla Casa Bianca come fossero le nostre e gli americani hanno partecipato molto più attivamente che in passato alla campagna elettorale. Cosa ci dice questo rispetto alle nostre democrazie?

Caracciolo Ci dice che quando c’è una vera competizione, una competizione sentita, una prospettiva di cambiamento, la gente va a votare. Quando tutto questo non c’è allora si vota molto di meno. Comunque, la gente in America partecipa in percentuali assai inferiori rispetto all’Europa e, quindi, l’aumento è relativo ai precedenti americani. Barack Obama, d’altronde, non è solo il candidato vincente della maggior parte degli americani: è il candidato vincente della grande maggioranza del mondo. Credo che se il presidente degli Stati Uniti fosse stato eletto non dagli americani ma dal mondo, avrebbe prevalso con un distacco assai maggiore.

Il Mese All’alba della vittoria di Barack Obama, lei aveva scritto un articolo per il sito della sua rivista che iniziava così: “La straordinaria vittoria di Barack Obama non cambia il mondo. Cambia la possibilità di cambiarlo”. E per cambiare il mondo, scriveva, non bastano le stelle e le strisce. Non basta una campagna elettorale che ha appassionato l’America e, con essa, tutti quanti gli altri. La sfida è anche per noi.

Caracciolo Sì, penso che la grande novità di questa svolta sia che l’America sa di non poter comandare da sola ma di poter avere una leadership nel mondo solamente se ascolta gli altri e se collabora con loro. Questa è la lezione della presidenza Bush e, per certi aspetti, anche della presidenza Clinton, una lezione che sicuramente Barack Obama avrà presente e che penso dovrà portare a frutto nelle vicende che si troverà ad affrontare a partire dal prossimo gennaio.

Il Mese Finita l’euforia della vittoria, cosa si troverà davanti il nuovo presidente degli Stati Uniti? Siamo sopraffatti da dati che parlano di una grande crisi da cui le persone usciranno più povere, il lavoro più debole, gli equilibri scossi. Un nuovo mondo quello di Obama, un nuovo mondo anche quello della crisi?

Caracciolo Quelle che si aprono sono delle prospettive sicuramente estremamente difficili perché aldilà del carisma personale di Obama i dati restano quelli che sono. Un paese indebitato fino al collo: quasi 11 trilioni di dollari ormai di debito nazionale con un forte deficit estero. Quindi le risorse a disposizione di Obama sono veramente poche. Non resteranno grandi alternative alla spesa in conto deficit per finanziare le nuove infrastrutture di cui l’America ha disperatamente bisogno e per cercare di sostenere l’occupazione di fronte a una recessione che speriamo non sia lunghissima ma certamente non sarà facile.