“It’s time: to make a deal. To stop the war. To make peace”. Sotto questo slogan oggi, lunedì 1° luglio, a Tel Aviv oltre cinquanta associazioni di israeliani, palestinesi, arabi, ebrei hanno organizzato una grande mobilitazione per dire no alla guerra a Gaza. “Una risoluzione politica del conflitto che garantisca i diritti di entrambi i popoli all’autodeterminazione, alla sicurezza, alla dignità e alla libertà”, è quanto viene chiesto nell’appello che lancia la mobilitazione.

“Insieme – proseguono – chiederemo un accordo per portare a casa gli ostaggi (con la speranza che così torneranno in sicurezza) e per la fine della guerra. Inizieremo una mobilitazione per il giorno dopo la fine della guerra. Insieme ci impegneremo a lavorare con coraggio e determinazione per costruire un futuro migliore per noi e per i nostri bambini, un futuro di pace”. 

L’evento si svolgerà alla Yad-Eliyahu Arena, un palazzetto dello sport di Tel Aviv, e coinvolgerà ebrei e arabi, dalla periferia e dal centro, famiglie in lutto, famiglie degli ostaggi, figure pubbliche, musicisti e molto altro.

Anche Rete italiana pace e disarmo, insieme a numerose organizzazioni della società civile, esprime il proprio sostegno alla mobilitazione “con la speranza che questa iniziativa apra la strada alla ricomposizione del movimento per la pace in Palestina e in Israele, per costruire l’alternativa a una politica xenofoba, razzista, fanatica, capace solo di seminare odio, negare diritti e libertà”.

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Francesco Vignarca, portavoce della Rete, ci spiega come l’iniziativa a Tel Aviv segni una svolta per i movimenti pacifisti in Israele, “perché si passa in modo evidente dalle manifestazioni per il rilascio degli ostaggi israeliani e contro il governo Netanyahu a un evento per chiedere a gran voce un accordo e fare cessare il fuoco su Gaza”. Sino a ora ci sono state altre manifestazioni di questo genere che però non sono riuscite ad avere la necessaria divulgazione anche per le loro minori dimensioni, mentre ora l’organizzazione della mobilitazione ha dimensioni tali da volere imporsi all’attenzione anche internazionale.

“Il 7 ottobre è stato uno shock di varia natura e vario impatto per tutta la società di Israele e di Palestina – afferma Vignarca -. Il mondo pacifista, che ha cercato di fare un tessuto positivo nella società, è stato silenziato perché ogni volta che c'è un'azione militare si mettono a tacere le voci che sono in disaccordo e i dissidenti vengono dipinti come traditori. Molte famiglie, anche di pacifisti, sono state colpite direttamente, quindi c'è stato proprio uno smarrimento”.

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I passi per la pace

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Il portavoce della Rete italiana pace e disarmo ci fa sapere che le organizzazioni palestinesi si sono dedicate in una prima fase al sostegno umanitario delle famiglie israeliane degli ostaggi e delle persone uccise durante l’attacco di Hamas: “Perché una cosa che non si dice mai è che il governo israeliano, oltre aver scelto l'azione militare, ha abbandonato in realtà le famiglie colpite, perché a Netanyahu non interessa curare le loro ferite sia fisiche che morali, ma solamente avere il pretesto per attaccare Gaza”.

“Tutte le grandi manifestazioni contro Il governo di Tel Aviv in corso prima della guerra si erano un po’ disperse – prosegue -, perché quando parte l’azione militare, si risveglia il gabinetto di guerra e quindi anche l'opposizione viene silenziata . Questo peraltro fa sospettare che purtroppo Netanyahu sia ben contento di quello che è successo. Adesso invece tutto il campo allargato del movimento pacifista israeliano, fatto anche da organizzazione miste, ha deciso di alzare la voce non solo per sostenere le manifestazioni contro il governo, per la giustizia, la trasparenza e il rilascio degli ostaggi, ma perché davvero, come dicono loro il tempo è ora: per fare una accordo, fermare la guerra e fare la pace. Questo ci è sembrato un salto di qualità”.

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Per questi motivi la Rete ha deciso di dare il suo sostegno anche con un documento che si trova on-line, tradotto in varie lingue. Le organizzazioni promotrici della manifestazione “hanno molto bisogno di un sostegno dall'esterno proprio perché invece dal punto di vista mediatico, comunicativo e politico in Israele sono forzatamente isolati, li vogliono dipingere come i poveri pazzi che sono ancora a favore della pace Quindi non è il momento delle semplici pacche sulle spalle o dei messaggi di sostegno, ma di rendere questo sostegno esplicito e cercheremo anche noi in qualche modo di partecipare all'iniziativa che loro manderanno in streaming rilanciandola sulle nostre pagine social e sui nostri canali”.