PHOTO
“Io sono uno storico e lo so che la storia è fatta di cicli. Quello che stiamo vivendo è un capitolo terribile, ma siamo alla fine”. Ne è convinto Ilan Pappè, storico israeliano e attento studioso dei processi di nascita dello Stato di Israele, dei conflitti mediorientali e dell’oppressione a danno del popolo palestinese.
Ilan Pappè, ospite del Festivaletteratura in un evento sostenuto dalla Cgil Mantova, ha parlato insieme al giornalista Christian Elia di quanto sta accadendo in terra di Palestina, a Gaza in particolare. “C’è speranza per un futuro migliore”, ha detto: “Sono convinto ci sia un nesso fra quel che sta succedendo a Gaza e il futuro del mondo. La mia non è retorica: quello che sta succedendo e succederà a Gaza nei prossimi anni determinerà quello che succederà nel resto del mondo”.
La sua carriera accademica Pappè l’ha iniziata ad Haifa, sua città natale, ma l’ha proseguita altrove, dopo essere stato osteggiato per aver appoggiato la campagna di boicottaggio dell’establishment e delle istituzioni accademiche israeliane. Voce fortemente critica della attuale leadership israeliana, oggi insegna Storia all’Istituto di studi arabi e islamici ed è direttore del Centro europeo per gli studi sulla Palestina all’Università di Exeter, in Inghilterra.
“Se il sistema di giustizia internazionale - ha detto lo storico verso la fine dell’incontro con il folto pubblico presente, che l’ha più volte interrotto per applaudirlo - avesse irrogato allo Stato di Israele la metà delle sanzioni irrogate nei confronti della Russia, la guerra a Gaza sarebbe finita oggi”. Per questo motivo, l’attuale sistema di giustizia internazionale “non è adeguato. La situazione di Gaza ha scoperchiato l’inefficienza e l’irrilevanza del nostro sistema di giustizia internazionale”.
Quello di Pappè è stato un puntuale excursus storico che ha analizzato la nascita dello Stato di Israele “nel mezzo del mondo musulmano”, identificando alcune date cruciali che hanno determinato l’attuale situazione. Un’analisi presente anche nel suo ultimo libro Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina (Fazi). “Mi sembra logico, se prendiamo in esame quello che ha fatto da due anni e continua a fare Israele in Palestina, rendersi conto che non è possibile pensare che questo venga archiviato e si vada avanti, perché così non funziona”, ha precisato lo studioso.
Il punto storico cruciale è la questione ebraica, la nascita dello Stato di Israele e “l’incapacità da parte dell’Europa di risolverla alla fine della seconda guerra mondiale. Sul punto, ai tempi, sono intervenuti due gruppi che hanno spinto, con diverse motivazioni, per la nascita di questo Stato in Palestina: i cristiani evangelici e gli imperialisti britannici. L’idea a molti, però, parve folle, perché la Palestina era abitata da persone ed era chiaro che per realizzarla sarebbe stato inevitabile l’uso della violenza e la colonizzazione”.
Prosegue Pappè: “Ma la nascente lobby sionista del periodo, invece, ha iniziato a spingere lo Stato ebraico in Palestina dicendo che non c’erano problemi, perché quella terra era disabitata. Ma così non era. Insomma, la soluzione europea non poteva che essere violenta. Ed era vero allora, come lo è oggi. Malgrado l’immoralità di un simile progetto, malgrado la sua impraticabilità, in tutto il mondo è sorta una potente alleanza che si è prefissata di renderlo possibile e che continua a cercare di renderlo possibile. Ora però stiamo vedendo le conseguenze di questo progetto”.
Ci sono alcune date meno note, che rappresentano però snodi cruciali per lo sviluppo della questione ebraico-palestinese: “Due anni prima della Dichiarazione Balfour, piano inglese per creare lo Stato di Israele, un documento del 1915 firmato da un membro del gabinetto di Sua Maestà britannica intitolato ‘Il futuro della Palestina’, cambia la vita della Palestina e dei palestinesi. Un documento nel quale si sostiene che la Palestina è vuota e pronta per il ritorno del popolo ebraico”.
Altra data importante, ma poco nota, è il 1926, quando “per la prima volta il movimento sionista procede all’acquisto in Palestina di terre di proprietari terrieri che risiedono a Beirut. Su queste terre sorgono tredici villaggi palestinesi. Questa vicenda ci dice che sono 100 anni che i palestinesi vengono cacciati dalle loro terre”.
Ulteriore snodo storico importante è il 1948, quando "il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America sostenne che sarebbe stato un errore non consentire ai palestinesi di avere un loro Stato. Una convinzione però che durò non più di tre settimane, perché la lobby sionista statunitense si assicurò che la politica tornasse ad appoggiare senza condizioni lo Stato di Israele”.
A proposito del rapporto fra Stati Uniti e Israele, lo storico ospite del Festivaletteratura di Mantova ha evidenziato che “una delle principali ragioni del sostegno degli Usa a Israele risiede nel fatto che gli Usa sono, per la loro storia, uno stato colonizzatore e di insediamento. Si sono insediati in terre abitate da altra gente, i cosiddetti nativi o indigeni”.
Ma non sono gli unici. “Sono convinto che la faccenda è vasta e riguarda l’incapacità di tutto l’Occidente di fare i conti col proprio passato coloniale”, conclude Pappè: “Un Occidente che non capisce ancora il nesso fra le migliaia di persone che cercano di arrivare in Italia, come rifugiati e migranti, il tasso altissimo di criminalità in alcune città degli Usa e la distruzione della Palestina da parte di Israele. Sono tutti fenomeni collegati perché non puoi, in un determinato momento storico, opprimere, rapinare, distruggere un popolo pensando che tanto domani tutti se lo dimentichino solo perché non ha effetti sulla tua vita e dove hai scelto di viverla”.