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Tentiamo di immaginare di trovarci da due mesi senza cibo, medicine, con pochissima acqua, magari infetta. Impossibile. Per noi è impossibile immaginarlo, perché troppo lontano dalla nostra realtà, dai nostri frigoriferi mediamente pieni, dalle nostre migliaia di farmacie aperte, dai nostri rubinetti di acqua potabile che non ci tradiscono mai. Non è retorica, ma la constatazione della nostra estraneità davanti a una catastrofe umanitaria alla quale sembra nessuno voglia porre rimedio, quella in corso a Gaza.
Nella Striscia la popolazione non necessita di uno sforzo di immaginazione, perché il blocco degli aiuti voluto da Israele ha come risultato 66 mila bambini che soffrono di malnutrizione, i dati sono delle Nazioni unite. Alla Rai un prete che opera nella Striscia ha raccontato che razionano e setacciano la farina per togliere i vermi. Difficili da quantificare, i morti per fame, però ci sono, lo riferiscono diverse fonti, e le immagini che arrivano di bambini scheletrici difficilmente ci possono fare dubitare.
Il 2 marzo Israele ha chiuso nuovamente i valichi attraverso i quali i camion potevano portare gli aiuti. L'agenzia Onu per i Rifugiati della Palestina ha fatto sapere qualche giorno fa che "quasi 3.000 camion Unrwa, carichi di aiuti salvavita, sono pronti a entrare a Gaza, ma l'assedio imposto dalle autorità israeliane blocca tutto". In totale si calcola che 116 mila tonnellate di alimenti e medicine deperiscono fuori dai confini blindati della Striscia. C’è anche chi dice che Hamas contribuisca a favorire questo blocco: peggio sta la popolazione gazawa, più responsabilità saranno attribuite a Israele e più inferociti e cooptabili saranno gli abitanti di Gaza. Notizie che in questo caso non possiamo verificare e quindi nemmeno escludere.
Un report del World food programme delle Nazioni unite ci dice che il prezzo dei principali generi alimentari è aumentato del 1.400% rispetto a quando era in vigore la tregua. Si parla di 50 euro per un chilo di farina, 20 euro per un chilo di patate, 13 euro per un litro di benzina. Portare assistenza umanitaria sta diventando praticamente impossibile.”
Sempre secondo il Wfp la guerra ha lasciato più di 2 milioni di persone dipendenti dall'assistenza alimentare, senza casa e senza alcun reddito. I panifici, per fare un esempio, non hanno farina per panificare e nemmeno benzina per trasportare il poco pane prodotto. Prima della guerra entravano nella Striscia ogni giorno centinaia di camion con forniture umanitarie (talvolta toccano il migliaio), segno della situazione di estrema povertà nella quale già versavano cronicamente i palestinesi. Dal 7 ottobre 2023 il numero dei camion in ingresso si è prima ridotto drasticamente, per poi azzerarsi con la chiusura dei valichi. Quindi l’inizio della tregua ha visto il ritorno degli aiuti umanitari, cessato nuovamente con il blocco imposto da Tel Aviv.
Le proteste si levano da più parti, dalle organizzazioni delle Nazioni unite come da quelle non governative. Un esempio su tutte ActionAid che, nel dirsi inorridita dalle notizie di Israele che decide di intensificare la propria offensiva e occupare nuovi territori, afferma che il blocco degli aiuti “rappresenta una violazione dei principi fondamentali dell’azione umanitaria”.
Se poi si aggiunge la ripresa massiccia degli attacchi militari che provoca quotidianamente morti, ma anche numerosi feriti, si può capire come farmaci e presidi medici siano indispensabili per salvare vite, tra le quali molte di bambini, mentre invece il personale sanitario delle ong è privato dei mezzi necessari per operare.
Medici senza frontiere lancia l’allarme: “La Striscia di Gaza sta diventando una fossa comune per i palestinesi. La Corte Internazionale di Giustizia ha avviato le udienze sugli obblighi di Israele di facilitare l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza, ma Medici Senza Frontiere avverte che la popolazione di Gaza non può aspettare oltre”, ma la comunità internazionale non alza la voce e permette uno sterminio.