“Siamo come i pesci, se usciamo dall'acqua moriamo”. Ali Awad Al Amoudi è uno dei 4.000 pescatori di Gaza che prima del 7 ottobre 2023 svolgeva un ruolo cruciale nella sicurezza alimentare palestinese. Dopo, non più. Perché le bombe israeliane hanno ucciso, hanno distrutto le loro barche, le loro attrezzature e le loro case. Per 30 anni la sua famiglia ha risparmiato per comprare delle piccole barche, che ora giacciono sul fondo delle acque antistanti il porto di Gaza City. “Anche le reti sono bruciate – racconta – erano state comprate appena prima della guerra. Ogni mattina vengo al molo a guardare quello che ho perso e non c'è più. Era la nostra vita”.

Dall'inizio dell'operazione militare dell'Idf, la maggior parte dei pescatori di Gaza non è più in grado di accedere al mare, mentre pochi rischiano ancora la vita per portare cibo sulla terraferma, magari su zattere di fortuna. Questo incide gravemente sulla capacità di Gaza di nutrirsi. Nel 2021, Gaza aveva prodotto circa 4.700 tonnellate di pesce secondo l’Ufficio centrale palestinese di statistica, lavorando esclusivamente entro entro le 12 miglia nautiche (22 km) consentite da Israele. Era una fonte di sostentamento fondamentale per la Striscia. Ora non lo è più.