Mentre in Italia si presentano svariati disegni di legge per limitare l’autodeterminazione delle donne - anche provando a conferire diritti civili all’embrione per ostacolare le interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg) - il Congresso dei deputati spagnolo ha approvato ieri, in via definitiva, la “riforma sulla salute sessuale e riproduttiva e l’interruzione volontaria della gravidanza”.

Tra gli altri presupposti, il provvedimento ha lo scopo di garantire l’aborto “libero e sicuro” nelle strutture pubbliche, a partire dai 16 anni, e introduce il congedo mestruale sovvenzionato dallo Stato per chi soffre di dismenorrea, una patologia dolorosa e invalidante che colpisce circa il 7% delle donne in età fertile, previa presentazione di un certificato medico.  

L’Italia va nella direzione opposta

Questo provvedimento, soprattutto rispetto al tema dell’aborto, è in netta controtendenza con quello che, ormai da anni, sta avvenendo nel nostro Paese, dove l’accesso ai percorsi per l’interruzione volontaria di gravidanza è ostacolato, in molti territori, dall’eccessivo numero di obiettori di coscienza e dal progressivo svuotamento di competenze, personale e risorse destinati ai consultori pubblici.

Cgil: serve una ricognizione degli ospedali

Per queste ragioni, tra gli altri obiettivi della piattaforma di genere della Cgil, c’è anche quello di promuovere una ricognizione puntuale sulla presenza degli obiettori nelle realtà ospedaliere e nei consultori; l’obiettivo da raggiungere è quello di un rapporto numerico ideale tra obiettori e non obiettori, anche attraverso percorsi di reclutamento e contratti ad hoc, per garantire la possibilità per tutte le donne che lo chiedono di accedere alla Ivg.

È necessario garantire una reale accessibilità e gratuità degli strumenti alternativi alla pratica chirurgica e all’ospedalizzazione e la gratuità dei contraccettivi per i giovani, come già previsto in alcune normative regionali, nonché l’attuazione delle linee guida sulla somministrazione della pillola abortiva Ru486, anche sperimentando normative regionali per l’aborto domiciliare, così come già previsto in diversi Paesi europei.  

Seguire l’esempio della Spagna

In Italia, come in Spagna, è necessaria una risposta normativa e contrattuale di civiltà per le donne che soffrono di dismenorrea, perché non è un Paese civile quello che obbliga una lavoratrice a svolgere il proprio lavoro nella sofferenza. Vale per la dismenorrea come per tutte le patologie dolorose che possono colpire le lavoratrici e i lavoratori.

C’è chi ipotizza una possibile discriminazione e penalizzazione per le donne che usufruirebbero di un eventuale congedo mestruale ma, come spesso accade, si guarda il dito anziché la luna: la soluzione non è costringere le donne che soffrono di una patologia invalidante ad andare al lavoro, ma provare a introdurre un cambio culturale sul tempo di lavoro e sulla produttività.

Qualità del lavoro, non discriminazioni

La qualità del lavoro che si svolge, infatti, non è rigidamente e direttamente proporzionale alla presenza fisica sul luogo di lavoro e al tempo in cui si lavora e per questo, in tutto il mondo, si sta discutendo di ridurre l'orario di lavoro a parità di retribuzione; per queste ragioni, in Italia, non possiamo pensare di risolvere il problema di un’eventuale discriminazione obbligando chi ha una patologia dolorosa a recarsi al lavoro per non essere discriminata/o, ma dobbiamo lavorare per evitare che ciò accada.

In questi ultimi mesi la Spagna ci sta dimostrando che ci sono diritti per i quali vale la pena investire, cambiando prospettiva.  

Lara Ghiglione, responsabile Politiche di genere della Cgil nazionale