C’è un uomo, un giornalista, che per alcuni è un baluardo della libertà di stampa, per altri è un soldato di Putin che crea solo disinformazione. Diversi Stati vogliono la sua testa, mentre altri vogliono offrirgli asilo e salvarlo. Julian Assange è tutto questo e anche di più. La giustizia a stelle e strisce gli contesta la pubblicazione sul sito Wikileaks, dal 2010 in avanti, di decine di migliaia di documenti riservati che hanno rivelato crimini di guerra e fatto emergere i retroscena della guerra in Iraq, aprendo uno squarcio profondo sui crimini di guerra e la manipolazione 

Stefania Maurizi (Repubblica, l’Espresso e ora Il Fatto Quotidiano) è l’unica giornalista italiana che ha ricevuto direttamente i documenti di Wikileaks. Ha pubblicato con Glenn Greenwald i file di Edward Snowden sull’Italia e ha rivelato l’accordo confidenziale tra il governo degli Stati Uniti e la famiglia di Giovanni Lo Porto, il cooperante italiano ucciso in Pakistan da un drone americano. Ha vinto vari premi giornalistici, tra cui la Colomba d’Oro dell’Archivio Disarmo. Il suo ultimo libro – Il potere segreto,  Chiarelettere, si presenta con la prefazione incendiaria del registra inglese vincitore della Palma d’Oro Ken Loach ma è il suo contenuto a essere esplosivo.  Si tratta, infatti, della ricostruzione fedele, meticolosa e puntuale di ciò che l’autrice definisce come un “processo al giornalismo”. Ricordiamo che Assange, è detenuto dal 2019 nel Regno Unito in attesa della conclusione del processo di estradizione avviato dagli Stati Uniti dove rischia una condanna a 175 anni di carcere.

Perché Julian Assange è diventato per gli Stati Uniti e tante altre nazioni il nemico pubblico numero uno? Di cosa è accusato?
È accusato di aver detto la verità. Di aver rivelato crimini di guerra e tortura come il video Collateral Murder dove le forze d'invasione statunitensi hanno ucciso civili innocenti in Iraq; nel video si vedono militari Usa sparare colpi di mitragliatrice, uccidere persone e… ridere.

Così come sulle guerre in Afghanistan e in Iraq…
Sono 76.910 i documenti pubblicati sull’Afghanistan. Ci permettono per la prima di volta di vedere come la guerra si sviluppa giorno per giorno e di leggere quello che accedeva in tempo reale. Si tratta di report scritti dai militari che, senza filtri, raccontavano quello che vedevano in piena libertà, senza sapere che un giorno sarebbero stati divulgati. Per la guerra in Iraq invece arriviamo a ben 351mila documenti resi pubblici che ricostruiscono minuziosamente giorno per giorno, azione per azione, una guerra terribile. Anche questi sono stati scritti direttamente dai soldati stessi che relazionano senza filtri, con poche scarne parole, la guerra così come avviene. Ci sono anche 251 mila cable che raccolgono tutte le corrispondenze dei diplomatici nel mondo, raccontano quali sono le questioni importanti per la diplomazia internazionale, ovvero una versione senza il filtro delle pubbliche relazioni. Infine, sono presenti anche schede di detenuti del carcere americano di Guantanamo che hanno permesso per la prima volta di avere tutti i nomi delle persone detenute, sapere perché erano state portate in carcere e vedere per la prima volta le foto dei loro volti.  Mi domando: tutti questi importantissimi documenti sarebbero mai arrivati alla conoscenza di tutti?

Ci sono anche documenti sull’Italia?
I documenti più importanti sono i cable della diplomazia americana italiana e vaticana, 4.189 in tutto. Ricostruiscono tutti i fatti accaduti dalla fine del 2001 fino al 2010 secondo quello che scrivevano i tre ambasciatori Usa che si succeduti a Roma. Questo materiale rivela molte cose: ad esempio come l’Italia è stata trasformata in una sorta di piattaforma di lancio della guerra americana nel mondo. Il nostro Paese ha concesso agli Stati Uniti tutto quello che Washington ha chiesto: basi, aeroporti, ferrovie per spostare truppe e armamenti e si è anche reso complice di crimini come  l’extraordinary rendition di Abu Omar: un uomo rapito a mezzogiorno a Milano, come fossimo in una qualsiasi dittatura sud americana.  I nostri bravissimi magistrati, Armando Spataro e Ferdinando Pomarici, riuscirono a individuare i responsabili – 26 cittadini americani, quasi tutti agenti della Cia – e a ottenere per loro condanne definitive. Eppure nessuno ha fatto un solo giorno di galera: impunità assoluta. Insomma, dobbiamo prendere atto che se sei un agente Cia o Sismi che rapisce a Milano e poi tortura un essere umano, sarai perdonato, impunito, intoccabile. Se sei un giornalista/whistleblower come Julian Assange che rivela criminalità di Stato come questi, la tua vita è finita. Insomma: niente avrebbe dovuto danneggiare i rapporti tra i due paesi, e infatti non furano mai inviati i mandati di arresto negli Stati Uniti. Si sono succediti sei ministri della giustizia, di destra e sinistra, tutti si sono rifiutati di farlo. Voglio ricordare che la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per il rapimento e la detenzione illegale dell’ex imam Abu Omar. 

Cosa rischia a livello penale Julian Assange? 
Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti viene incriminato un giornalista che ha rivelato informazioni vere nel pubblico interesse grazie a una legge del 1917, l’Espionage Act.  Una legge che non fa differenza tra chi rivela documenti segreti che fanno emergere crimini di guerra e torture e invece chi vende informazioni al nemico in tempi di guerra. Julian Assange rischia 175 anni di carcere; in pratica se entra in una prigione americana non uscirà mai più.  Ma non è solo questo: verrebbe detenuto in strutture di massima sicurezza con un registro durissimo di isolamento chiamato Sam,  un regime terribile per cui sei tenuto veramente fuori dal mondo, trattato peggio di un animale: luci sempre accese, senza riscaldamento, in una prigione grande come un posto auto, senza cure. E, ancora, non potrà mai usare coltello e forchetta, starà sempre con le catene a mani e piedi e non potrà neanche godere dell’ora d’aria. Finirebbe nella prigione americana dove è detenuto il super narcotrafficante El Chapo per capirci.

Questo caso è definito dal registra Ken Loach, che ha scritto la prefazione al tuo libro, come una mostruosa ingiustizia…
È così. I criminali di guerra che sono stati denunciati da Wikileaks non hanno fatto un giorno di carcere. Per questo Kean Loach lo ha definito il più grande crimine di Stato. Dal 2010 Assange non ha più conosciuto la libertà: un mondo alla rovescia e sottosopra.

Tu e altri giornalisti avete ripreso i file di Wikileaks parlandone apertamente sulla stampa. Hai avuto problemi in questi anni?
Sono l’unica giornalista italiana che ha lavorato a 360 gradi su tutti i documenti di Wikileaks, era il 2009 e dall’ora non ho mai smesso, ho iniziato per L’Espresso, poi La Repubblica e adesso Il Fatto Quotidiano. Non sono mai stata arrestata o anche solo interrogata; ho avuto intimidazioni ma queste sono la regola se fai questo mestiere. Nessuno dei giornalisti che hanno parlato dei file segretati hanno mai avuto problemi ma Assange sì. Perché questo? O tutti o nessuno.

Come si sta muovendo nello scacchiere internazionale l’Italia per Julian Assange?
Si sta muovendo bene. O meglio le persone si stanno attivando, le istituzioni no. Siamo a un punto di svolta, l’appello si dovrebbe tenere nell’autunno del 2022 e andare avanti con tutta probabilità fino ai primi mesi del 2023.  Non è vero che non possiamo fare niente, l’opinione pubblica ha le chiavi della sua cella in mano.