“Siamo solo agli inizi, siamo scesi in piazza troppo poco, dobbiamo tornare per strada e coinvolgere la gente, contro le armi e contro la guerra”. Fa autocritica Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano, fondatore e ispiratore di tanti movimenti per la pace e la giustizia sociale, un prete non convenzionale, che in questi decenni dal rione Sanità di Napoli, come dalla baraccopoli di Korogocho, alla periferia di Nairobi, ha saputo rappresentare la più autentica coscienza cristiana del nostro Paese. Malgrado i suoi 83 anni, è ancora combattivo, lucido, determinato. E respinge la guerra e le sue ragioni senza mezzi termini.

Perché dice che siamo solo agli inizi?
Noi pacifisti ci siamo mossi tardi, non abbiamo lavorato abbastanza, abbiamo aspettato troppo, forse per paura che le persone non scendessero in piazza. E invece la manifestazione nazionale a Roma del 5 marzo, promossa e partecipata da tantissime associazioni, è stata una bella piazza piena, un segno di speranza, che ci dice che la gente non vuole la guerra. Questo sentimento dobbiamo prenderlo seriamente e continuare a mobilitarci: tornati nelle nostre città, dobbiamo darci da fare.

In che modo?
Innanzitutto facendo pressione sul nostro governo, a cui dobbiamo dire basta finanziamenti alle armi. Il ministro della Difesa, che per me è il ministro della guerra, ha annunciato giorni fa che la spesa militare potrebbe essere portata dagli attuali 30 miliardi di euro all’anno a 38-40 miliardi tra il 2027 e il 2028. Con un incremento di 3 miliardi già dal prossimo. È una pazzia. Questi soldi vanno spesi per la scuola, la sanità, non per le bombe e i missili. La guerra è il risultato di questo armarsi fino ai denti.

Che altro possiamo fare?
Il movimento pacifista non si deve fermare, ora inizia l’impegno. Possiamo organizzare un’iniziativa per smuovere le coscienze, una carovana della pace come quella che fece don Tonino Bello per Sarajevo. Una carovana di centomila auto diretta al confine ucraino. Il mondo della pace si faccia sentire. C’è urgenza di gesti importanti.

Che cosa pensa della decisione del Parlamento italiano di inviare armi per sostenere l’Ucraina?
Per me è un’aberrazione totale, una follia per due ragioni. La prima è che la nostra Costituzione all’art. 11 ripudia la guerra. Questo vuol dire che se mandiamo materiale bellico adesso siamo in guerra. In secondo luogo, la legge 185 del 1990 (che regola l’export militare, ndr) vieta al governo di vendere armi a Paesi che sono in guerra. Che Camera e Senato abbiano approvato questa risoluzione è assurdo, mi vergogno per quel voto.

Quali azioni dovrebbe mettere in campo l’Italia?
In questo momento il nostro governo dovrebbe spendersi in ambito internazionale per forzare i contendenti a sedersi attorno a un tavolo e arrivare a una soluzione pacifica, portare Russia e Ucraina al tavolo dell’Onu. Una cosa che si sarebbe dovuta fare nel 2014, dopo il protocollo di Minsk (un accordo per porre fine alla guerra nell’Ucraina orientale, ndr) che è chiaro ma non è mai stato attuato. Se Mosca chiede la neutralità di Kiev, per esempio, bisogna trovare gli spazi per accordarla. Oggi l’Ucraina è una polveriera, è un Paese spaccato profondamente, con un nazionalismo che fa paura. Un negoziato è sempre possibile, ci si può mettere d’accordo. Ma i combattimenti devono cessare. La posta in gioco è altissima, rischiamo grosso, una guerra nucleare, l’inverno nucleare.