In una settimana, quella appena conclusa, il mondo del lavoro nordamericano ha ricevuto due buone notizie. La prima è l’approvazione, al Congresso, dell’American Rescue Plan varato da Joe Biden. Un’agenda colossale, da 1.900 miliardi di dollari, per il sostegno sociale: vaccini contro il Covid-19, scuole, assegni di disoccupazione, minoranze etniche e svantaggiate, programmi contro la povertà. Ma niente aumento del salario minimo a 15 dollari orari, misura espunta dal pacchetto. La seconda buona notizia è che la Camera dei rappresentanti ha detto sì (per la seconda volta, era già successo nella scorsa legislatura, ma il Senato a maggioranza repubblicana aveva poi bloccato tutto) al Protecting the Right to Organize (Pro) Act, una riforma epocale che trasformerebbe il mondo del lavoro, ripristinando il diritto di organizzarsi, formare un sindacato (pratica assai ostacolata negli Stati Uniti) e contrattare collettivamente.

Il Pro Act semplifica i processi di sindacalizzazione e punisce le imprese che li boicottano, restituisce al lavoro organizzato un contropotere, rispetto alla proprietà, andato perso da decenni e decenni, con immediate conseguenze sugli aumenti salariali, i diritti, la giustizia economica di genere e razziale. Ora la battaglia per la sua approvazione passa al Senato, dove i democratici hanno la maggioranza, ma forse una maggioranza non sufficiente a far passare la legge nella sua integrità. Il partito di Biden controlla la seconda Camera, ma non abbastanza per impedire la pratica dell’ostruzionismo, grazie alla quale i repubblicani potrebbero bloccare la discussione in aula.

La riforma è la più grande priorità legislativa del movimento sindacale in questo Congresso. I grandi gruppi imprenditoriali sono già schierati in assetto bellico contro la misura. I media americani conservatori non fanno che pubblicare articoli che mettono in guardia sui tanti “diritti” e libertà individuali che i lavoratori perderebbero se la legge passasse. La preoccupazione del business si capisce, finora è come se avesse giocato una partita a calcio contro un avversario privo del portiere. Il Pro Act rimette in campo portiere e arbitro. Vediamone in sintesi le misure principali.

Il Pro Act neutralizza le cosiddette leggi right-to-work, che ostacolano l'attività sindacale nelle aziende e la contrattazione collettiva. I lavoratori e il National Labor Relations Board, non i datori di lavoro, controllano i tempi delle elezioni sindacali. I datori di lavoro non possono costringere i dipendenti a partecipare a riunioni antisindacali. Datori di lavoro e dirigenti aziendali ricevono multe salate per le ritorsioni illegali contro i lavoratori che cercano di organizzarsi, e i lavoratori ottengono sostegni anche economici se sono illegalmente licenziati o danneggiati. I lavoratori licenziati devono anche essere reintegrati mentre i loro casi sono in giudizio. I datori di lavoro e i lavoratori devono rispettare un percorso stabilito nel negoziare un primo contratto sindacale, e se non riescono a raggiungere un accordo si va a un arbitrato vincolante. Ai datori di lavoro è vietato sostituire i lavoratori quando scioperano, e ai lavoratori non è più vietato impegnarsi in attività cosiddette "secondarie", come i boicottaggi, per cercare di fare leva nelle vertenze. I lavoratori non possono essere ingiustamente privati dei loro diritti di organizzazione e contrattazione perché erroneamente classificati come “supervisori” o “appaltatori indipendenti” (una norma che cambierebbe radicalmente il settore delle costruzioni, ad esempio).

La legge ha il sostegno del presidente degli Stati Uniti: “Quasi 60 milioni di americani si unirebbero a un sindacato se ne avessero la possibilità, ma troppi datori di lavoro e Stati impediscono loro di farlo attraverso attacchi antisindacali”, ha dichiarato Biden incoraggiando il Congresso ad approvare il pacchetto. “Mentre l'America lavora per riprendersi dalle devastanti sfide di una pandemia mortale - ha affermato Biden - abbiamo bisogno di convocare una nuova ondata di potere dei lavoratori per creare un'economia che funzioni per tutti. Lo dobbiamo non solo a coloro che hanno lavorato tutta la vita, ma alla prossima generazione di lavoratori che hanno conosciuto solo un'America di crescente disuguaglianza e di opportunità sempre più ridotte. Tutti noi meritiamo di godere appieno della promessa dell'America, e i leader della nostra nazione hanno la responsabilità di mantenerla. Questo inizia con la ricostruzione dei sindacati”.

Sindacati che, ovviamente, sono schierati in prima linea. “Per decenni la riforma del diritto del lavoro è stata trascurata mentre il National Labor Relations Act è stato indebolito. I politici anti-lavoratori e le grandi imprese hanno reso più difficile l'esercizio del diritto alla contrattazione collettiva”, ha detto il presidente dell'Afl-Cio Richard Trumka. “Questo finisce ora. I giorni della difesa sono finiti - promette il leader sindacale -. Il Pro Act è la nostra prossima frontiera. E la nostra prossima battaglia è al Senato degli Stati Uniti”.

Occorrono almeno 60 senatori - nove in più della maggioranza semplice - per portare la legislazione al voto. I democratici potrebbero non avere i numeri. Ma molti elementi del Pro Act potrebbero inserirsi in canali diversi, essere approvati in altri atti legislativi, aggirando così l’eventuale ostruzionismo dei repubblicani.