Le pandemie del passato erano “grandi livellatrici”, colpivano ricchi e poveri senza troppe distinzioni. Il Covid-19, invece, sta passando alla storia per caratteristiche opposte: colpisce i più deboli e ne aumenta la debolezza. A prenderne in esame gli effetti sul mondo del lavoro e sull’economia, è evidente che il coronavirus aggrava le disuguaglianze. Questo, almeno, è uno dei dati che emergono dalla versione definitiva del Rapporto Living, working and Covid-19 da poco licenziata dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (più brevemente: Eurofound).

L’indagine analizza la situazione dei cittadini europei. È stata condotta prevalentemente online e via social media in due tranche, la prima ad aprile-maggio e la seconda a giugno-luglio 2020, e ha coinvolto circa 120 mila persone. Ne risulta che oltre la metà dei disoccupati intervistati “non ha ricevuto alcun sostegno finanziario ufficiale” dopo lo scoppio della pandemia, e questo nonostante le misure di sostegno varate da molti paesi. Queste persone, sottolinea Eurofound, sono state costrette a cercare aiuto nei canali “informali”.

Il Rapporto denuncia anche la situazione non felice dei giovani, gravemente colpiti dall’isolamento: “continuano a sentirsi esclusi dalla società – si legge – e rimangono a rischio di depressione, il che dimostra come le restrizioni durante i lockdown li influenzino maggiormente”.

Infine le donne: su di loro il coronavirus ha avuto un impatto sproporzionato rispetto agli uomini, sabotando l'equilibrio tra vita professionale e vita privata, colpendo di più le donne in termini di riduzione dell'orario ed esponendo le giovani a un rischio maggiore di perdere il posto.

Dall’inizio della pandemia l'8% dei lavoratori dipendenti europei ha perso il posto. Ma tra gli autonomi la percentuale è più alta (13%). Tra le interviste, prevalgono i disoccupati spagnoli e greci. “Inoltre – si legge nell’indagine Eurofound –, il 2% degli intervistati che erano occupati prima della pandemia sono ora inattivi: sono andati in pensione, hanno smesso di lavorare a causa di una malattia o di una disabilità, o sono diventati casalinghi o studenti. In totale, il 10% degli intervistati che faceva parte della forza lavoro ne è ora fuori. Questa percentuale è maggiore in Grecia e Spagna (18%) e in Ungheria e Romania (14%). Al contrario, solo il 3% degli intervistati che attualmente lavorano è entrato nel mondo del lavoro dall'inizio della pandemia”.

Oltre un terzo degli intervistati ha subito una riduzione dell'orario di lavoro. E più di quattro uomini su dieci, lavoratori precari o a tempo, tra i 34 e i 49 anni, teme di perdere il posto nei prossimi tre mesi. Si tratta, per la Fondazione, della fascia d’età finanziariamente più vulnerabile, infatti “dichiarano di non riuscire a tirare avanti con i loro risparmi per più di tre mesi”.

Più di quattro dipendenti su dieci temono di contrarre il Covid-19 sul lavoro. Quasi tre dipendenti su dieci che devono indossare specifici dispositivi di protezione individuale “li ricevono solo a volte o non li ricevono affatto”.

Il Rapporto conferma poi l’esplosione del telelavoro, modalità diventata ormai “abituale” per molti che, prima della pandemia, non ne avevano fatto esperienza. “A luglio – si legge nel dossier –, quasi la metà dei dipendenti del campione ha lavorato a casa almeno per una parte del tempo. Di questi, un terzo ha riferito di lavorare esclusivamente da casa. L'esperienza di telelavoro sembra essere stata positiva per molti dipendenti. Tuttavia meno della metà (47%) ha dichiarato di avere ricevuto dal datore di lavoro le attrezzature necessarie”. Per Eurofound è “probabile che il telelavoro diventi molto più comune dopo la crisi”, ma occorrerà elaborare “quadri giuridici e di contrattazione collettiva, disposizioni che comprendano chiarimenti sul processo di richiesta e di concessione del telelavoro, compresa la sua natura volontaria e reversibilità, l'idoneità di specifici lavori/compiti da svolgere tramite il telelavoro, i contributi del datore di lavoro alle spese sostenute dai dipendenti che lavorano da casa e le garanzie di parità retributiva e l'accesso alla formazione per coloro che lavorano a distanza”.

Eurofound lancia infine due allarmi. La crisi potrebbe “far regredire di decenni” i progressi fatti nel mondo del lavoro in termini di pari opportunità, “è essenziale, quindi, che l'inclusione economica e sociale delle donne sia al centro delle misure di ripresa”. La Fondazione segnala poi la “preoccupazione tangibile” che il coronavirus favorisca un aumento delle disuguaglianze “sia tra i diversi gruppi socioeconomici che tra gli Stati membri”. E questo potrebbe nuocere seriamente alla “stabilità del progetto dell'Unione Europea e delle istituzioni nazionali”.