Sono ben 500 le pagine del Rapporto Svimez 2023, pieno di dati e di informazioni oltre che di riflessioni che andrebbero ben tenute da conto da chi ci governa e utilizzate per aiutare lo sviluppo di quel territorio. Quello che salta agli occhi, anche a una lettura non attentissima, è che nonostante dopo il Covid il Mezzogiorno abbia ottenuto risultati di crescita uguali o maggiori del Settentrione, i divari non si sono ridotti, anzi hanno ricominciato ad aumentare. Uno su tutti? La povertà. 

Nell’ultimo anno al Sud sono cadute in povertà ben 250.000 famiglie. Eppure sono aumentati gli occupati rispetto a due anni fa. Ma insieme a loro è, molto più che al Nord, aumentato il lavoro povero e la precarietà. Ma si sa: il governo è contrario al salario minimo legale per legge e anzi vorrebbe reintrodurre le gabbie salariali.

I numeri non mentono

Dopo la gelata del 2020 nel biennio 2021-2021 il Pil è tornato a salire, in maniera pressoché omogenea nel Paese. Si legge nel Rapporto: “L’economia del Mezzogiorno è cresciuta del 10,7%, più che compensando la perdita del 2020 (–8,5%). Nel Centro-Nord, la crescita è stata leggermente superiore (+11%), ma ha fatto seguito a una maggiore flessione nel 2020 (–9,1%)”.

A trascinare la crescita sono stati i servizi, soprattutto il turismo, e le costruzioni, quasi non pervenuta – purtroppo – l’industria. Ma nonostante questo l’impatto dell’inflazione è stato assai più forte sulle famiglie meridionali, scrive ancora la Svimez: “Sono state colpite con maggiore intensità le famiglie a basso reddito, prevalentemente concentrate nelle regioni del Mezzogiorno. Nel 2022 l’inflazione ha eroso 2,9 punti del reddito disponibile delle famiglie meridionali, oltre il doppio del dato relativo al Centro-Nord (–1,2 punti)”.

Lavoro povero e precario

Dopo la pandemia, registra l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, vi è stata una ripresa dell’occupazione anche più consistente che al Nord ma con quote consistenti di contratti a tempo determinato, con salari bassi a part-time involontario. Insomma precarietà e povertà sono i tratti distintivi dell’occupazione meridionale. "Quasi quattro lavoratori su dieci (22,9%) nel Mezzogiorno hanno un’occupazione a termine, contro il 14% nel Centro-Nord. Il 23% dei lavoratori a temine al Sud lo è da almeno cinque anni (l’8,4% nel Centro-Nord). Tra il 2020 e il 2022 è calata la quota involontaria sul totale dei contratti part-time in tutto il Paese, ma il divario tra Mezzogiorno e Centro Nord resta ancora molto pronunciato: il 75,1% dei rapporti di lavoro part-time al Sud sono involontari contro il 49,4% del resto del Paese".

Governo sordo

Da tempo la Cgil sostiene che per lo sviluppo del Paese è indispensabile ridurre i divari e rilanciare il Sud. “Quella di Svimez – sostiene Christian Ferrari, segretario confederale - è un'analisi che condividiamo, un allarme che continuiamo a lanciare da tempo, anche con le mobilitazioni di queste ultime settimane. Le questioni sollevate dall'istituto di ricerca dovrebbero essere all'apice dell'agenda politica, perché non riguardano solo il Sud, ma hanno conseguenze per tutto il Paese. Purtroppo, non è così”.

Meloni e i suoi ministri sembrano davvero non accorgersene e lavorare nella direzione contraria. Aggiunge, infatti, il dirigente sindacale: “Dalla revisione del Pnrr, che definanzia soprattutto progetti e investimenti destinati agli enti locali e all’apparato produttivo meridionale, alle scelte su politiche fiscali, sociali e occupazionali, alla totale assenza di politiche industriali, l'esecutivo - prosegue Ferrari – rischia di abbandonare la parte più fragile dell'Italia al suo destino. Lo dimostra, più di ogni altra cosa, la proposta di autonomia differenziata che, garantendo alle regioni del Nord di trattenere sul territorio il 30% dell'Irpef complessiva nazionale, farebbe ulteriormente esplodere diseguaglianze e divari territoriali e renderebbe impossibile tenere unito il Paese”.

E se il lavoro è povero, povere le famiglie

L’affermazione che introduce la povertà del Rapporto Svimez è sferzante e dura: “L’incremento dell’occupazione non è in grado di alleviare il disagio sociale in un contesto di diffusa precarietà e bassi salari” e, purtroppo i numeri la confermano. Rispetto al 2020 nel mezzogiorno ci sono 250.000 famiglie povere in più mentre al Nord sono -170mila, quindi nelle regioni settentrionali si esce dalla povertà al Sud no. Non solo: in questi territori la povertà assoluta tra le famiglie con la persona di riferimento occupata è cresciuta di 1,7 punti percentuali mentre tra quelle che hanno un operaio come riferimento è cresciuta del 3,3.

Gelo demografico e grande fuga

Se questo è il quadro sociale, fuggire è diventato quasi inevitabile, costruendo così un circolo vizioso difficile da invertire. Non solo, povertà, precarietà, e una occupazione femminile talmente bassa da quasi vergognarsi a raccontarla: Campania 31%, Puglia 32% e Sicilia 31%, mentre la media europea si attesta oltre il 72%, per non parlare dell’assenza dei servizi all’infanzia a cominciare dai nidi, le regioni che avevano il tasso di natalità più alto del Paese sono diventate quelle del gelo demografico. Anche perché i giovani in età fertile sono scappati e continuano a scappare basti pensare che dal 2002 al 2021 dal Mezzogiorno sono andate via 2,5 milioni di persone.

Cambiare il presente per costruire il futuro

Per il Paese è indispensabile ridurre i divari e favorire lo sviluppo meridionale. Certo, l’autonomia differenziata di Calderoli porterebbe all’ulteriore abbandono del Sud concentrando risorse e sforzi solo in una parte del Paese. Queste le ragioni che hanno portato Ferrari ad affermare: “Una riforma, quella contenuta nel Ddl Calderoli, che sembra pensata a uso e consumo del settentrione, mentre per le regioni del Sud, dalle politiche di coesione alla Zes unica, siamo a una centralizzazione senza precedenti delle scelte e alla totale marginalizzazione delle Istituzioni locali”.

“Quella di Svimez - aggiunge il dirigente sindacale - è un'analisi che condividiamo, un allarme che continuiamo a lanciare da tempo, anche con le mobilitazioni di queste ultime settimane. Le questioni sollevate dall'istituto di ricerca dovrebbero essere all'apice dell'agenda politica, perché non riguardano solo il Sud, ma hanno conseguenze per tutto il Paese. Purtroppo non è così”.

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