Negli anni, è vero, non sempre e non tutte le risorse destinate al Mezzogiorno dall’Europa sono state spese. Le ragioni di questo mancato utilizzo sono diverse, in parte dipende da una difficoltà diffusa in tutto il Paese a utilizzare in tempi rapidi quanto destinato allo sviluppo, in parte da un depauperamento della pubblica amministrazione che rallenta ulteriormente i processi, in parte dal fatto che spesso scarseggino le risorse proprie con le quali occorre compartecipare.

Infine, a volte dipende da una classe dirigente che sconta lentezze e difficoltà. Ma è pur vero che soprattutto negli ultimi due anni, nonostante non sia state mantenute fino in fondo le promesse di nuove assunzioni per gli enti locali, avevano preso il via le attività delle otto Zes istituite nel 2017 e i progetti del Pnrr. Il governo Meloni ha cambiato tutto rischiando di rallentare, se non stoppare, quanto avviato.

Il decreto Sud

A parte norme che non riguardano il meridione ma l’inasprimento delle politiche sull’immigrazione – per altro assai discutibili se non sbagliate – la sostanza dell’ennesimo decreto legge appena convertito è presto detta, centralizzazione a Roma e controllo a Palazzo Chigi nel ministero che si occupa di Europa e Coesione e diretto da Fitto, di tutte le risorse destinate alle regioni del Mezzogiorno attraverso una cabina di regia e una Zes unica.

Per la Cgil “è un depotenziamento del ruolo delle amministrazioni territoriali e questo depotenziamento significa de facto una sorta di negazione della natura stessa delle politiche di coesione che per come sono state promosse negli ultimi 20 anni dall’Ue sono per loro natura politiche basate sul territorio”.

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Tanti i pareri negativi

Innanzitutto questa nuova governance non convince i sindaci, soprattutto quelli delle città metropolitane, che sono completamente esautorati, mentre un piccolo ruolo nella cabina di regia è assegnato ai presidenti di regione. “Hanno ragione i sindaci”, afferma Adriano Giannola, presidente della Svimez, che aggiunge: “Cabina di regia, zes unica, sportello unico che dovrebbe autorizzare qualunque investimento sopra i 200mila euro, insomma non si capisce bene come questi nuovi meccanismi funzioneranno. Soprattutto non si capisce – forse perché non c’è – quale idea di sviluppo per quelle regioni e quindi per il Paese intero”.

Quale sviluppo?

Sia per Nex Generation Eu sia per gli altri fondi, l’Europa afferma che occorre definire attraverso il partenariato sociale strategie e politiche. Esattamente ciò che sembra negare il governo. Afferma ancora la Cgil: “La nostra valutazione è che un sistema di governance così concepito si caratterizzi più come un rovesciamento radicale dell’impostazione delle politiche basate sul territorio che come il tentativo di risolverne limiti e incongruenze; la forte centralizzazione che lo caratterizza non garantisce la necessaria prossimità delle politiche che è chiamato a sostenere, né assicura un adeguato coinvolgimento del partenariato economico e sociale in tutte le fasi di utilizzo dei Fondi europei”.

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Così non può funzionare

Ad affermarlo a Collettiva è ancora il professor Giannola che richiama il Piano del Lavoro ideato da Giuseppe Di Vittorio nel secondo dopo guerra: “Il segretario della Cgil propose al governo e alle forze politiche di allora un piano per promuovere occupazione che aveva in sé una idea di ricostruzione e sviluppo del Paese. Per pensare allo sviluppo del Paese, che inevitabilmente passa dal Sud, il governo dovrebbe mettere insieme diversi soggetti a partire proprio dal sindacato, per ragionare su come far diventare leve di cambiamento e crescita proprio le peculiarità che abbiamo”.

Come? A partire da cosa? E sempre il presidente della Svimez a fare qualche esempio: “Noi siamo il Mediterraneo, abbiamo gli armatori più importanti del mondo che sono andati a costruire le autostrade del mare in nord Europa, dovremmo dare forze alle otto Zes portuali istituite nel 2017 e da lì partire. Dovremmo costruire l’autostrada del mare da Catania a Genova e quella da Catania a Trieste e così contribuiremmo anche all’abbattimento delle emissioni”.

Zes unica od otto?

Per Giannola è sbagliato ridurre le otto esistenti che hanno un senso perché collegate ai porti e alle zone doganali, così come in altre realtà europee. Non convincente per la Cgil che sostiene, in aggiunta alle motivazioni sostenute dal presidente dell’Associazione per lo sviluppo e industria del Mezzogiorno, come si confonde lo strumento al servizio delle politiche industriali per il Sud, con le politiche stesse. E aggiunge una nota della Confederazione: “Con la riforma prevista nel Pnrr da un paio di anni erano stati nominati dei commissari straordinari per gestire le Zes esistenti che decadono con la nuova norma, rischiando di compromettere quanto fin qui realizzato nei territori”.

Tra centralizzazione e autonomia

Proprio in queste ore il vice premier Salvini è tornato ad affermare che autonomia differenziata e premierato devono marciare parallele. Ma come stanno insieme la riforma Calderoli e la centralizzazione delle politiche di sviluppo per il Sud? “Sono due cose difficilmente compatibili – continua Giannola profondamente contrario all’autonomia differenziata – se quella riforma sciaguratamente passasse le regioni del Sud potrebbero chiedere l’autonomia proprio per quelle materie che Fitto e Meloni vogliono portare a Palazzo Chigi. E di contro un imprenditore del Nord o un presidente di regione del Nord potrebbe domandarsi per quale motivo tutto il territorio meridionale dovrebbe diventare zona economica speciale avendo credito di imposta e decontribuzioni speciali”.

Insomma sembra davvero un gran pasticcio. La verità è che quel servirebbe davvero – e di cui non c’è traccia – è “una visione” da cui discenda una politica industriale. Servirebbe al Mezzogiorno, servirebbe al Paese.