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Finché non venne inserito nella bolletta elettrica, il Canone Rai è stata una delle imposte più evase. Era il luglio 2016 quando attraverso la bolletta emessa dai gestori dell’elettricità cominciammo a pagarlo a rate. Fu un esempio lampante di come sia vero il detto che afferma “pagare tutti per pagare meno”. Il canone allora ammontava a 113 euro all’anno, inserendolo in bolletta il governo Renzi che decise il provvedimento, lo abbassò a 90.
Perché tagliare?
Da allora la cifra annuale non è aumentata, mentre come sappiamo tariffe e inflazione invece si, eppure oltre all’annuncio del finanziamento certo del Ponte di Messina per ben 12 miliardi, il vice premier Salvini – nel corso della conferenza stampa di presentazione della legge di bilancio – ha con gran piacere comunicato che da prossimo anno la il canone scenderà da 90 a 70 euro. “Altro che rilancio! Un taglio di questa entità rischia di dare un colpo netto alla capacità produttiva dell'azienda”. È quanto ha commentato a caldo la Slc-Cgil sull’annunciata decurtazione di 20 euro del canone Rai che, per bocca del Segretario nazionale Riccardo Saccone, “ha più il sapore di un provvedimento elettorale che una scelta ponderata rispetto allo stato attuale dell’azienda”.
Taglio in parte compensato
Dalle parti di Palazzo Chigi si spiega che la riduzione di 20 euro dalle bollette comporta un minor esborso complessivo da parte degli italiani e delle italiane per 440 milioni di euro, importo che sarà in gran parte compensato dallo Stato alla Rai per spese relative agli investimenti. Di conseguenza, la dotazione complessiva per la società subisce solo una modifica di lieve entità, pari a 20 milioni di euro, in linea con i tagli previsti per tutti i ministeri. Il Governo dice di ritenere fondamentale il Servizio pubblico radio-televisivo e vorrebbe rafforzarlo e valorizzarlo con una più corretta gestione delle risorse anche grazie alla nuova governance. Sembra di ascoltare Meloni quando afferma che il problema non è quante risorse vengono destinate alla sanità ma come vengono spese. E per altro ci si domanda se rafforzare la Rai equivale a non mandare in onda prodotti già pagati come la fiction su Mimmo Lucano o il programma di Roberto Saviano. E ci si domanda se, anche dal punto di vista degli investitori pubblicitari, valorizzare l’azienda coincida con il riempire i palinsesti di programmi che si rivelano agli ultimi posti di ascolti rispetto ai concorrenti delle altre tv.
La Rai non è un ministero
Perché, è la domanda che sorge spontanea, si giustifica la riduzione del prelievo in bolletta con i tagli alle spese correnti dei ministeri? Da quanto la Rai sarebbe diventata un dicastero? E anche l’idea che buona parte delle risorse verranno restituite dalla fiscalità generale non tranquillizza affatto. Secondo Vittorio Di Trapani, presidente della Fnsi: “Tutte le esperienze europee insegnano che il passaggio in fiscalità generale determina un ridimensionamento del Servizio Pubblico”. Che aggiunge: “milioni tagliati dalle bollette e in gran parte presi da fiscalità generale. Ovvero l'inganno ai cittadini: ti faccio sembrare che paghi di meno, in realtà prendo dalle tue tasse”.
Quale idea di azienda pubblica
La preoccupazione rispetto al destino dell’Azienda di servizio pubblico è diffusa. Saccone, infatti, ha sottolineato: “Non vorremmo che nel Governo si stesse facendo strada l’idea di una Rai ridimensionata, impoverita e residuale anche rispetto al suo ruolo culturale. Per il sindacalista sarebbe utile conoscere cosa ne pensano gli attuali vertici aziendali. Il sindacato, da parte sua, è seriamente preoccupato del destino di un'azienda strategica “che sembra così avviarsi verso un lento ma inesorabile declino. Prima si sancisce la fine dell'ex monopolista delle Telecomunicazioni – ha rilevato Saccone – poi si tenta l’affossamento della Rai”. Ed è ancora Di Trapani a dare la dimensione di quanto sta accadendo: “Il Servizio Pubblico non dovrebbe essere trattato come tutti i ministeri. Non è un pezzo dell'apparato di Stato e di Governo. Ne va della sua autonomia e indipendenza. Lo dice l'Ebu. Lo dice l'Europa. Ecco perché nei principali Paesi non è in fiscalità generale. E svela anche il rischio (o forse la volontà): ad ogni taglio del bilancio statale arriverà un taglio anche per il finanziamento del Servizio Pubblico. E per di più, lo spostamento in fiscalità generale del finanziamento della Rai non comporta 1 centesimo di risparmio per i cittadini, ma consegna al governo in maniera definitiva il controllo del Servizio Pubblico. Ogni anno lo stesso ricatto per la Rai: o sottomessa o ridimensionata.”
Anche all’interno si teme
L’avvio dei palinsesti autunnali non è stato felice per l’Azienda. Molti i professionisti dell’informazione e dell’intrattenimento che sono andati altrove, e i nuovi programmi – lo dicevamo – non sembrano affatto trovare il favore del pubblico. Sotto attacco e ridimensionato, a usare un eufemismo, sembra essere il giornalismo di inchiesta. Cosa accadrà? L’esecutivo dell’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai appare assai preoccupato: “L’Esecutivo dopo aver occupato l’Azienda di servizio pubblico nominando un vertice che continua ad assumere esterni e ad elargire milioni attraverso contratti a giornalisti e artisti graditi, ora la affossa con un taglio secco di 400 milioni del canone che era già il più basso d’Europa. Come può la Rai – che ha 600 milioni di debiti accumulati negli anni – sopravvivere a un tale taglio di risorse?”
Conclusioni amare
È ancora Usigrai a paventare rischi e preoccupazioni gravi: “Un taglio di quasi il 25 percento delle risorse significa smantellare il servizio pubblico, ridurre l’informazione per i cittadini e mettere in ginocchio tutto il settore dell’audiovisivo. Peraltro, ci chiediamo come sia possibile firmare oggi un contratto di servizio per 5 anni, quindi con impegni e obblighi precisi, senza avere certezza di risorse per lo stesso periodo”.
Se si alza lo sguardo e si prova a leggere il provvedimento sulla Rai all’interno del contesto più generale, le preoccupazioni non possono che aumentare. A darvi voce ancora il segretario nazionale della Slc-Cgil: “siamo in piena transizione digitale e ci chiediamo quale sia il vero progetto di questo Governo in tema di infrastrutture di comunicazione. Forse non c’è”.