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La riforma è di quelle capaci di cambiare il futuro di un continente, in meglio o in peggio, d'indicarne la rotta, incidere sui principi ispiratori. Stiamo parlando della riforma della governance economica europea, cioè l'insieme di regole finalizzate al perseguimento di finanze pubbliche sostenibili negli Stati membri e il coordinamento delle politiche economiche nazionali, per la quale la Commissione ha presentato una proposta.

Una disciplina che sembra essere lontana anni luce dalla vita dei cittadini e scollata dagli interessi della collettività, ma che invece è in grado d'influire in maniera sostanziale su tutte le politiche di un Paese, dallo sviluppo alla sostenibilità, dal welfare ai beni comuni, alla fiscalità.

È questo il tema dell’iniziativa "Governance economica, beni pubblici europei e Next Generation 2030" promossa dalla Cgil, che si svolge il 7 marzo a partire dalle 10 nella sala Di Vittorio della sede nazionale della confederazione a Roma, e in diretta streaming su Collettiva.it.

“È un momento di riflessione, dopo quello che abbiamo tenuto lo scorso anno, per riprendere il ragionamento e contestualizzarlo – spiega la vice segretaria generale della Cgil Gianna Fracassi, che presiede l’evento -. Siamo in una fase che vede la riapertura della discussione sul Next Generation Eu, la revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, una diversa governance dello stesso con i fondi strutturali. Una partita che si interseca con la modifica del Patto di stabilità europeo, che abbiamo sempre sostenuto”.

All’introduzione di Laura Pennacchi, coordinatrice del Forum economia della Cgil, seguono gli interventi di Giuseppe Pisauro, Francesco Saraceno, Andrea Roventini, Daniele Archibugi, Elena Granaglia e Massimo Florio, con l’analisi delle ipotesi di riforma della Commissione e la presentazione di alcune proposte, e le conclusioni del segretario generale Cgil Maurizio Landini.

“Il punto è ribadire con nettezza che non possiamo arretrare rispetto alla stagione del Next Generation – riprende Fracassi -: quello schema deve essere il modello di prospettiva dell’Europa, con risorse, condivisione del debito, obiettivi finalizzati a ridurre le disuguaglianze. Pandemia e guerra hanno cambiato profondamente il quadro di riferimento dell’Europa e quindi ancora più che in passato dobbiamo ricostruire un’idea sociale del nostro continente, con strumenti che non ci riportino indietro alla stagione dell’austerità e alle politiche del 2008”. 

La proposta di riforma della governance economica europea che è stata pubblicata, frutto di un percorso di consultazioni di soggetti istituzionali, privati e accademici iniziato prima della crisi pandemica, contiene alcuni elementi positivi ma anche tanti limiti. Tra quelli positivi, la revisione del Patto di stabilità e crescita, che non dovrebbe più essere un sistema di regole rigide, uniformi e uguali per tutti scandito da verifiche annuali, ma un modello basato su un approccio contrattuale che si stabilisce con i singoli Paesi con piani pluriennali.

“Tra i limiti, una serie di aspetti tecnici che però sono molto importanti – spiega Laura Pennacchi -. Per esempio diversi indicatori usati con una finalità prettamente prescrittiva che saranno ridiscussi nella valutazione negoziale con gli Stati. E poi la regola sulla spesa, la relazione tra debito e deficit e il Pil, è stata pensata un anno fa, in un mondo senza inflazione e con tassi d'interesse bassi”.

Un limite ancora maggiore è la mancanza di un golden rule per i singoli Stati, una regola d’oro che dovrebbe consentire di effettuare investimenti pubblici finanziati con il debito di ciascun Paese.

“Crediamo che l’Europa si debba dotare di una politica industriale comune e di strumenti per poterla fare – prosegue Pennacchi -. La crisi pandemica e il conflitto in Ucraina ci hanno mostrato i limiti delle catene di fornitura, mettendo in luce un problema di fondo ancora più grande, una certa deindustrializzazione della zona Europa, che così rischia di rimanere indietro sulle nuove tecnologie che si vanno sviluppando”.

“Ecco, la nostra idea è che la riforma debba servire innanzitutto a rilanciare gli investimenti pubblici sui beni comuni – conclude Laura Pennacchi -, seguendo una modalità estesa e prolungata del Next Generation, tale da arrivare al 2030, andando quindi oltre il limite naturale che è il 2026. Sosteniamo cioè che quelle scelte rivoluzionarie debbano essere fatte ancora”.