Giancarlo Rovati insegna Sociologia dello sviluppo all’Università Cattolica di Milano. Molto si è occupato di condizioni delle persone, di diseguaglianze e povertà.  Ha presieduto la Commissione nazionale di indagine sull’esclusione sociale (Cies), fa parte della “Commissione scientifica inter-istituzionale sulla povertà assoluta” dell’Istat. Negli scorsi giorni ha partecipato alla tavola rotonda di presentazione del Rapporto sul Benessere equo e solidale dell’Istat. Con lui abbiamo voluto ragionare soprattutto dell’aumento delle diseguaglianze, evidenziate da alcuni indicatori del rapporto.

Nei due anni di pandemia sono aumentate le diseguaglianze, da quelle territoriali a quelle di genere, a quelle tra giovani e anziani. Era inevitabile? O l’entità dell’effetto sulle diseguaglianze ci racconta di un Paese con al suo interno delle fragilità preesistenti al coronavirus?

Il nostro Paese, come il resto del mondo, è stato investito da uno tsunami, un'onda anomala alla quale non eravamo pronti. Il Rapporto Bes ci illustra che nel 2021 noi ci siamo ripresi da tutti i punti di vista, compreso quello occupazionale e quello economico misurato dal Pil, ma con ritardo rispetto ad altri Paesi colpiti. Abbiamo minore e più lenta capacità di resilienza. A renderci meno pronti a reagire alle crisi credo sia il nostro sistema regolatorio che è iper proceduralizzato: ha molti passaggi burocratici e tutto questo ci rende meno resilienti, più lenti e per di più con diverse velocità all’interno del Paese stesso. Non solo, diretta emanazione dell’apparato regolatorio è anche quello amministrativo, anch’esso in sofferenza. Sia l’uno che l’altro hanno bisogno di essere riorganizzati, resi più veloci e attenti agli obiettivi più che alle procedure. È sulla velocità di reazione alle sfide che si misura la competitività. Su questo noi siamo decisamente carenti e al Sud di più.

Forse causa di questa limitata e lenta capacità di reazione, oltre a un problema regolatorio, è anche il depauperamento delle pubbliche amministrazioni che negli ultimi dodici anni è diventato drammatico. I comuni che non riescono a presentare i progetti per i bandi del Pnrr sono solo la punta dell’iceberg.

Certo, il punto è proprio questo: che a livello di sistema ci sono molte cose che giocano a nostro sfavore e sono autogol. Non eventi esogeni che non possiamo controllare.

Tra le diseguaglianze e gli arretramenti, il Rapporto segnala un forte disagio tra i ragazzi e le ragazze tra i 12 e i 19 anni

Il Rapporto descrive un vero e proprio malessere, con sintomi di che vanno dalla delusione nei confronti dei rapporti amicali o familiari, a vere e proprie forme di disagio mentale. Certo, a posteriori potremmo chiederci se la chiusura delle scuole e la didattica a distanza era inevitabile o avremo potuto fare scelte diverse. Abbiamo preservato la salute collettiva, ma sul benessere soggettivo stiamo pagando un prezzo molto alto di quelle decisioni. 

Anche il nostro servizio sanitario esce dal Rapporto con luci e ombre.

A curare i malati di Covid non c’è riuscito nessuno: da questo punto di vista, nelle condizioni date, ha retto bene. L’indicatore più allarmante, invece, è quello che attesta l'impossibilità di continuare le cure per coloro che non avevano il Covid, nelle strutture ospedaliere che non erano in grado di accogliere. Si è rinunciato alle cure non per ragioni economiche, ma per difficoltà ad accedere al servizio sanitario. Questa è un'altra conseguenza di cui pagheremo pedaggio nei prossimi anni.  Molti hanno saltato gli screening, stati rinviati gli interventi operatori, eccetera. Avere un sistema più abbondante di risorse, soprattutto di personale, avrebbe potuto renderci meno vulnerabili. È evidente che queste insufficienze pesano molto di più su chi ha meno risorse economiche, acuendo i differenziali di salute sia tra i cittadini che tra i diversi territori del Paese.

Non è solo il rapporto Bes a dirlo: certo è che nel primo anno di pandemia c’è stato un enorme aumento della povertà.

Purtroppo è verissimo. Ciò che mi ha colpito è la quantità di risorse erogate dall’Inps tra cassa integrazione, reddito di cittadinanza e di emergenza, sussidi vari. Davvero tante risorse, ma il punto debole è stato la tempistica con fabbriche, uffici e negozi chiusi. I tempi di erogazioni della cassa integrazione Covid e dei sussidi sono stati lentissimi. Chi aveva reti di relazioni parentali in grado di sostenerlo in qualche modo ha retto. Chi non le aveva, no. E l’esistenza di reti sociali è un elemento importante di cui dobbiamo tener conto così come quelle parentali, ma è anche un elemento di fragilità perché ciascuno può attingere alle reti sociali in modo differenziato. Le reti sociali medesime sono differenziate, quindi il rischio di un avviamento delle diseguaglianze esiste. In ogni caso il terzo settore ha avuto un ruolo fondamentale, così come fondamentale è oggi nell’accogliere i profughi ucraini. Pero non risolve il problema della debolezza del sistema.

Nel 2021 c'è stato un balzo del Pil e anche dell'occupazione. Non si è proprio tornati ai valori del 2019, ma ci siamo molto vicini. Il dato invece che non è migliorato è quello della povertà assoluta che è esplosa nel 2020, non è migliorata nel 2021 e anzi nel Sud ci sono quasi 200.000 poveri assoluti in più. Come mai?

Anche qui c'è un effetto durata delle criticità. Un anno è un tempo insufficiente per rimediare: obiettivamente l'onda lunga delle difficoltà economiche per le persone già fragili si ritrae molto lentamente. Tanto è vero che anche al Nord, dove c'è stato un miglioramento ossia una diminuzione della povertà assoluta, non si è ancora tornati ai livelli del 2019. A scivolare si fa in frettissima, risalire la china è più faticoso e ci vuole tempo. Il punto vero è che ci saremmo aspettati che anche al Sud ci fossi segnali quantomeno di recupero invece, malgrado la presenza massiccia dell'intervento del reddito di cittadinanza, questo non è avvenuto. Possiamo ipotizzare che sia troppo rispetto al bisogno delle famiglie e che, quindi, andrebbe aumentato l’importo da erogare. In secondo luogo, è ipotizzabile che chi ha più bisogno del sussidio non sia stato nemmeno in grado di richiederlo: questo non fa che confermare cose note. Chi è più fragile rimane nella sua condizione, anche per l’incapacità attivare la tutela dei propri diritti. È vero oggi ed era vero prima del Covid. Questa è un’altra faccia della povertà. Ancora una volta è il sistema a mostrare le sue insufficienze.

Inoltre, penso che anche aumentando l'ammontare monetario dei sussidi, se quella misura non è accompagnata dall'attivazione di occasioni di lavoro stabili e dignitose, gli stessi sussidi nel tempo generano effetti perversi. Disincentivano l'impegno anche di coloro che potrebbero attivarsi, nello stesso tempo aumentano fenomeni inflattivi: cresce la possibilità di spesa ma insieme il circuito delle intermediazioni commerciali fa sì che anche i prezzi aumentino. Insomma, si rischia di entrare in una spirale che non aiuta a migliorare le condizioni generali. Se rimanesse solo la gamba dei sussidi le criticità peggiorerebbero. Misure attive di inclusione hanno bisogno della moltiplicazione anche delle occasioni di lavoro, in altri termini hanno bisogno di sviluppo. E questo è il gap tra Nord e Sud.

Tra l’Europa e l’Italia vi è un differenziale di istruzione forte. Abbiamo meno diplomati e meno laureati. Abbiamo più dispersione e più abbandono scolastico. Questo c’entra con la povertà?

La povertà ha un’incidenza di gran lunga superiore sulle persone con meno istruzione. Quindi l'istruzione preserva maggiormente dalla povertà. Ma l'istruzione è anche un indicatore di tutta una serie di difficoltà nei percorsi di vita. Bassa istruzione è legata per i più anziani alla loro età, tra i più giovani è un sintomo chiaro di disagio, a sua volta alimentato dal contesto sociale, talvolta amplificato dalle stesse istituzioni scolastiche. Inoltre, il basso livello di istruzione penalizza anche in termini di capacità di riqualificazione professionale: basso livello di istruzione, basse qualifiche, bassa remunerazione. Nello stesso tempo per aumentare il tasso di istruzione superiore o terziaria ci vuole tempo, questo è un gap che alla fine si paga. Nello stesso tempo c'è un'altra questione da osservare. Se avessimo livelli di istruzione più elevati, il nostro sistema economico sarebbe in grado di assorbirli? Leggendo il Rapporto mi ha colpito la quantità di emigrazione di laureati dal Sud verso il Nord e fuori dai confini. Questo vuol dire che c'è un tessuto economico non in grado di valorizzare e utilizzare queste risorse. A conferma di ciò è la disparità tra titoli di istruzione raggiunti e tipo di impiego.