L’ultima a parlare è stata la Svimez, che ha analizzato un Rapporto dell’agenzia di Palazzo Chigi per la coesione. Il campanello di allarme è suonato forte, chissà se anche chiaro. La scommessa per la ripartenza di tutto il Paese si gioca al Sud, non solo per ridurre i divari – e questa è una delle ragioni della consistenza dei finanziamenti europei – ma anche per rilanciare l’economia e lo sviluppo complessivo dell’Italia. Ma il vincolo del 40% di risorse del Pnrr e del Fondo complementare da investire in quelle regioni, stiamo parlando di 86 miliardi sui 211,1 della dotazione complessiva, rischia davvero di non riuscire a essere rispettato.

Anche per Giuseppe Massafra, segretario nazionale della Cgil con delega sul Sud, “la preoccupazione è molta. Soprattutto per la quota di risorse destinate direttamente ai territori, in particolare dai Comuni. A quel livello si registrano le difficoltà maggiori a presentare progetti. E poi a darvi attuazione. Così come, proprio a quel livello, si registrano problemi nella gestione della governance dei processi legati all’attuazione del Pnrr. Occorre introdurre correttivi e farlo presto”.

Il primo problema è dato da come vengono destinate le risorse dei singoli ministeri. Luca Bianchi e Carmelo Petraglia, estensori dello studio della Svimez affermano che vi sono strutture centrali che destinano oltre la soglia stabilità alle regioni meridionali, mentre altre sono assai sotto: il ministero per il Sud e la coesione territoriale (79,4%) Infrastrutture e mobilità Sostenibili (48,2%), Interno (47%), Innovazione tecnologica e transizione digitale (45,9%). Viceversa, le due amministrazioni centrali che riportano “quote Sud” molto distanti dall’obiettivo sono il ministero dello Sviluppo economico (24,8%) e il ministero del Turismo (28,6%).

Ma la prima e, forse, tra le maggiori criticità riguarda questo fatto: per quasi un terzo dell’intera cifra, 28.2 miliari, non ci sono vincoli reali nella destinazione delle risorse ma solo stime sulle potenziali domande. In somma le risorse già sicuramente destinate e vincolate sono quelle del ministero delle Infrastrutture che sono andate in parte a finanziare opere già programmate con altri fondi.

Il punto di forza, ma anche il punto più dolente della questione, è la capacità di partecipazione al bando dei Comuni. Punto di forza perché aver scelto quel livello territoriale risponde sia all’esigenza di dar vita a opere realmente necessarie e dall’altro si supera la burocrazia regionale che, sempre secondo Luca Bianchi, a volte rischia di essere elemento di rallentamento, come si può ben vedere nell’utilizzo dei fondi strutturali.

Ma per molti Comuni la capacità di presentare progetti è fortemente minata dalla assoluta mancanza di personale e di figure specialistiche. Una parte consistente delle risorse, soprattutto quelle per le infrastrutture sociali - dai nidi alle palestre passando per l’economia circolare – saranno assegnate proprio attraverso bandi a cui si partecipa presentando progetti messi in competizione tra loro e senza il vincolo della quota Sud. Basti ricordare che fu proprio il sindaco di Milano Sala qualche settimana fa che chiese pubblicamente che le risorse non assegnate al Sud per mancanza di progetti venissero riassegnate al Nord “più virtuoso”.

Gran paradosso questo: uno degli obiettivi del Pnrr è proprio quello della riduzione dei divari territoriali. Secondo la logica del primo cittadino meneghino, invece di aiutare le amministrazioni locali che faticano a rispondere con tempestività e progettualità adeguata ai bandi, bisognerebbe lasciarle indietro acuendo così quei divari che occorre ridurre. Per fortuna si sta seguendo un’altra strada e, per gli asili e non solo, si è deciso di allungare la scadenza dei bandi. Buona scelta ma non sufficiente.

“La difficoltà degli enti locali meridionali è reale – afferma Massafra –: è imputabile al depauperamento che si è fatto lungo l’arco di un quindicennio delle pubbliche amministrazioni con il blocco del turn-over, i tagli orizzontali e la decurtazione della spesa corrente che ha penalizzato maggiormente il meridione”.

Ma il ministro Brunetta non aveva assicurato che ci sarebbe stata un’immissione di nuovo personale proprio in quegli enti locali, ci domandiamo? Il segretario della Cgil riflette: “Il bando per il reclutamento di personale straordinario per le amministrazioni del Sud è stato un fallimento. Giustamente si cercava personale specializzato, ma gli si offriva un lavoro a tempo determinato e un salario non adeguato. Non è questa la strada. La strada da seguire, vale per tutta Italia, è quella di un vero piano di assunzioni pubbliche in grado di rispondere esigenze del Paese. Ovviamente i tempi, se si sceglierà con determinazione questa via, non saranno brevi e quindi utili al Pnrr. Allora bisogno pensare anche ad adottare temporaneamente soluzioni diverse. Da un lato ad associazioni di Comuni o di enti che, mettendosi insieme, riescono a ottimizzare le risorse di personale. Dall’altro bisogna creare delle forme di partenariato tra l’istituzione pubblica e i soggetti economici e sociali del territorio in grado di rispondere tempestivamente alla parte burocratica della partita e contemporaneamente, forse addirittura prima, progettare infrastrutture e interventi che nascendo dal basso rispondano realmente alle esigenze del territorio”. Esperienze in positivo, da questo punto di vista, ce ne sono: una fra tutte quella di Benevento, il cui comune ha dato vita a una fondazione che insieme a soggetti economici e sociali, tra i quali la Cgil, sta lavorando positivamente.

Bianchi e Petraglia però sottolineano: “Dalla relazione dell’Agenzia per la Coesione arriva un forte monito al livello politico: il 40% è tutt’altro che un risultato acquisito, è un obiettivo che sarà possibile conseguire solo se saranno rimosse diverse criticità, avvalendosi di tutti gli strumenti di cui si è dotata la governance del Pnrr. Incluso il potere sostitutivo da parte dello Stato nei casi di palese inadeguatezza progettuale e realizzativa degli enti decentrati”.

Se uno degli strumenti più efficaci per ridurre i divari territoriali è quello delle infrastrutture sociali, dagli asili nido e le scuole, fino ai servizi socio-sanitari, allora si pone anche un altro problema. Molti Comuni meridionali sono in pre-dissesto, con i fondi del Pnrr si possono “costruire” manufatti, non pagare il lavoro che serve a farli funzionare. In molti casi i Comuni non hanno presentato i progetti per gli asili, ad esempio, perché non sono in grado di assumere il personale per farli funzionare.

“Questo è un tema vero – afferma ancora Giuseppe Massafra – e continuiamo a ritenere che occorra ripesare la composizione, l’ammontare e la ripartizione della spessa corrente dello Stato, se davvero vogliamo che il Pnrr consenta non solo la ripresa ma anche la costruzione di un nuovo modello economico e sociale. Tanto più visto che alla pandemia si somma anche la guerra, che oltre al dramma, porta con sé anche un nuovo shock economico. Meno risorse per le armi e più risorse per infrastrutture sociali e per investimenti su processi di transizione sostenibile. E più sostegno concreto ai territori, che significa partire dai loro bisogni, valorizzare le risorse spesso presenti ma non messe a sistema, potenziare i processi di collaborazione e co progettazione tra soggetti pubblici e forze sociali ed economiche".