Le diseguaglianze territoriali hanno nascita antica. Secondo il rapporto Italia diseguale curato dalla Fondazione Ebert in Italia, che verrà presentato oggi (11 geranio) nella Sala Santi della Cgil, l’anno cruciale è il 1861 quella della riunificazione politica del Paese. Chi un po’ si diletta di storia questo lo sa. Ciò che invece colpisce e non poco nella lettura del Rapporto è il riconoscimento che gli anni in cui il divario Nord Sud si è ridotto maggiormente sono quelli che vanno “dal 1951 al 1992, i governi italiani portarono avanti – si legge nel Rapporto – un’imponente politica regionale nel Sud Italia, attraverso l’ente statale della Cassa per il Mezzogiorno. Il divario tra il Sud e il resto del Paese diminuisce in modo significativo secondo la maggior parte degli indicatori macroeconomici e sociali”. Poi la Cassa venne chiusa, le politiche governative cambiarono di segno e l’impulso allo sviluppo meridionale diminuì fino a fermarsi e a cambiar di segno a partire dagli anni 2000.

La crisi del 2008 e poi la pandemia hanno approfondito nuovamente il solco. Ma come non esiste una sola Italia, così non esiste un solo Sud, ne sono tre. E le diseguaglianze non sono solo quelle territoriali. Il nostro Paese è attraversato da diseguaglianze sociali, economiche, territoriali, di genere e generazionali. Il nostro Paese e non solo. Il tema delle diseguaglianze, infatti, è questione che la Commissione Europea pone con forza al centro delle proprie politiche, dal pilastro sociale al salario minimo fino ad arrivare a Next Generation Eu. Basti pensare che i tre obiettivi target per il 2030 per ridurre le diseguaglianze sono: lotta alla disoccupazione, arrivare al 78% della popolazione occupata; formazione, arrivare al 60% della popolazione adulta in formazione ogni anno; riduzione della povertà, facendo uscire dalla miseria 15 milioni di persone. Da qui nasce la ricerca della Fondazione Ebert, dalla nuova centralità che la lotta alle diseguaglianze assume nelle politiche europee. Si passa dall’austerità agli investimenti in infrastrutture materiali ma anche immateriali, e prende nuovo impulso l’impegno per l’affermazione dei diritti sociali.

Il Rapporto della Fondazione Ebert, che si inserisce in questa strategia europea, fotografa l’Italia e prova ad indicare delle possibili ricette nel solco – appunto - delle politiche europee cercando di capire anche quanto il Pnrr risponda alle necessità. Secondo i ricercatori esistono 4 italie e 3 sud. Due italie si comportano meglio della media nazionale, ne fanno parte le regioni del Nord, contano complessivamente 11,8 milioni di abitanti e hanno un alto tenore di vita. C’è una terza Italia, quella che rappresenta la media del Paese è composta dalle regioni del centro e vi vivono 9,8 milioni di persone. Infine c’è la quarta Italia, quella che ha condizioni di vita ben al di sotto della media. Sono “le regioni svantaggiate con importanti sfide strutturali. Contano 18,7 milioni di abitanti”. Quali sono? Basso Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna. Ma anche piccole zone dell’Italia del Nord hanno caratteristiche di arretratezza simili a queste regioni.

Il Sud non è tutto uguale. In realtà, di Mezzogiorno ne esistono tre: ci sono territori più o meno arretrati, più o meno in grado si sviluppo, più o meno ricchi di risorse naturali e culturali su cui far leva. E allora gli interventi devono essere differenziati. L’occupazione, o la mancanza di essa, come è avvio, acquista una valenza importante in questa analisi. Così si scopre che proprio l’assenza di lavoro determina una “migrazione” dalle aree – quasi sempre quelle interne - più arretrate dal punto di vista economico verso quelle urbane a maggior intensità di lavoro. Ma questa migrazione determina una competizione di offerta di manodopera che quasi sempre determina una sempre maggior precarietà.

Se l’analisi, la fotografia è questa, se la pandemia ha reso ancora più forti e stridenti le diseguaglianze territoriali e al loro interno anche quelle di genere e generazionali, non va dimenticato infatti che proprio nelle regioni meridionali c’è il tasso più basso di occupazione femminile e giovanile, allora occorsi domandarsi, all’interno delle strategie europee, quali possono essere le possibili ricette. Il Rapporto è chiaro: “La portata e la gravità delle disuguaglianze regionali in Italia (ma più in generale in Europa), in particolare rispetto al mer­cato del lavoro, impongono un ritorno all’idea che le dispari­tà regionali contano per ragioni di equità, coesione sociale e politica, più che per ragioni di efficienza.

Questa svolta dovrebbe essere accompagnata da un riorien­tamento verso gli investimenti pubblici, soprattutto nella sanità e nell’istruzione, per incentivare l’attività economica nel breve periodo e per incidere sul potenziale di crescita eco­nomica a lungo termine; il sostegno all’occupazione (an­che attraverso nuove assunzioni nel settore pubblico per con­trobilanciare la contrazione particolarmente grave al Sud); una nuova governance multilivello in cui si riaffermi il ruolo preminente del governo centrale”. All’interno di questo quadro, sottolinea la Cgil, occorre ricordare che “il lavoro è leva decisiva per lo sviluppo” e per rilanciare i diversi Mezzogiorno occorre puntare anche sulle diverse transizioni, quella ambientale e quella digitale.

La presentazione del Rapporto e le considerazioni della Cgil a partire dalle 9.30 in diretta su Collettiva con i saluti di Salvatore Marra, responsabile Politiche europee e internazionali della Cgil; Tobias Morschel, direttore dell’Ufficio italiano della Friedrich-Ebert-Stifung. Francesco Prota, professore associato di economia politica presso l’Università di Bari “Aldo Moro” illustrerà i contenuti del rapporto. Sono previsti gli interventi di Filipp Fink, direttore dell’Ufficio dei paesi nordici della Friedrich-Ebert-Stifung; Stefano Palmieri, Area delle politiche europee e internazionali della Cgil e presidente della Sezione Economia del Cese; Sabina De Luca, Coordinamento Forum diseguaglianze e diversità. Le conclusioni della giornata sono affidate a Giuseppe Massafra, segretario confederale della Cgil. Coordina i lavori Anna Teselli.