Il virus e la pandemia, oltre che apportare gravi danni al mondo, e specie al nostro Paese, mostrano di possedere una recondita capacità di suggerire, oltre che di accelerare, possibili soluzioni di vari problemi per i governi. Leggendo il ricco documento che qui commento, mi sembra proprio che esso colga i più importanti tra tali suggerimenti. Innanzitutto il suggerimento di un ritorno alle questioni essenziali; in secondo luogo, il suggerimento di avviare una progettualità strategica; infine, la necessità di non eludere il bisogno di innovazione, per rispondere alle grandi questioni politiche del nostro tempo.

Il virus, ponendoci di fronte all’alternativa tra la vita e la morte, ha suggerito un ritorno alle questioni di base. L’ineludibile calendario delle urgenze mediche, a cominciare da quella di fermare il contagio e salvare quante più vite fosse possibile, si riverbera oggi in un altro rischio, anch’esso mortale, per l’economia del paese. Quando la morte incombe, sia sulle persone, sia sull’economia, chi ci può salvare? Questa domanda fa venire in rilievo tutta la centralità degli Stati. Basterà pensare al ruolo cruciale che hanno avuto, nell’affrontare la pandemia, oltre alle politiche dei vari governi, i relativi sistemi sanitari e la disponibilità di strutture mediche e ospedaliere efficacemente organizzate sul territorio. Al contempo, è emersa l’indispensabilità, specie per i Paesi più colpiti, dei raccordi internazionali, sia sul piano della ricerca medico-sanitario e farmacologica, sia, ancor più, sul piano degli aiuti finanziari per la ripartenza della macchina economica.

Il virus ha prodotto, tra l’altro, l’inaspettato risveglio delle istituzioni europee, e specie della Commissione, felicemente guidata da Ursula von der Leyen. Il venir meno di tanti vincoli precedenti, e la disponibilità di ingenti risorse di diversa provenienza (Bce, Sure, Sme, e infine Eu next generation) mettono il nostro Paese in una paradossale situazione di inedite possibilità, ma anche di enormi responsabilità, visto che il nostro debito pubblico schizzerà a livelli preoccupanti. Dunque, se si può non approfittare di questa occasione, occorre tuttavia gestire le risorse al servizio di un vero progetto di innovazione e rigenerazione del nostro paese. A partire dalle questioni di base.

La lezione del ritorno alle "basic issues" suggerisce dove rivolgere l’utilizzo delle risorse finanziarie, con investimenti di cui il nostro Paese ha enorme bisogno, dopo decenni di disinvestimenti pubblici. Verso infrastrutture di due tipi: quella materiale e fisica, fatta, oltre che di ospedali e strutture sanitarie, di strade, di trasporti e collegamenti ferroviari mancanti, di ponti che rischiano di crollare, eccetera, ma anche di cablaggi, fibra ottica e intelligenza artificiale; e quella invisibile e immateriale del cosiddetto “capitale umano” che si costruisce a partire dalla scuola e dalle università. Settori del tutto sottofinanziati rispetto ai bisogni di un Paese occidentale del 21 secolo. Riattivare il circuito delle infrastrutture significa ovviamente innescare un percorso di politiche attive del lavoro, che vanno via via ad affiancarsi ai provvedimenti di politiche passive, come la cig o le altre misure emergenziali, e ad alimentare le risorse di fiducia nello Stato, da tanto tempo carenti nel nostro paese.

I vari bisogni che bussano alle porte del governo, impongono, con altrettanta urgenza, di pensare il futuro in maniera strategica, con una visione che sappia tenere insieme i vari pezzi. Il documento dà particolare risalto a questo bisogno di stabilire una discontinuità rispetto alla perdurante inerzia progettuale del nostro Paese. È da non perdere l’indicazione di istituire una sede centrale unitaria, anche se il carattere interministeriale potrebbe cacciarla in un gioco di reciproche rivalità. Comunque, l’ineludibilità di questa scommessa è la seconda lezione che il virus ci impartisce. Non si tratta solo di non indulgere a misure calibrate sul breve periodo, che possono premiare elettoralmente i ceti dirigenti del momento. Si tratta anche, come Prodi ha ricordato, di ovviare egli enormi ostacoli amministrativi, che spesso suonano come una condanna preventiva di ogni progettualità. Su questo piano occorrerebbe non solo agire con riforme e semplificazioni, ma avviare anche, sulla scia della stagione rooseveltiana ricordata nel progetto, una campagna di forte mobilitazione del personale impegnato in funzioni pubbliche, che come avviene nei periodi post-bellici e di ricostruzione, faccia sentire l’essenzialità del suo ruolo.

Agire strategicamente significa confrontarsi con i bisogni di innovazione non solo sotto il profilo tecnologico, ma anche sotto il profilo politico, filtrando i vari progetti alla luce dei due grandi temi politici del nostro tempo: la questione della diseguaglianza e la questione di un nuovo green deal. Come ricorda il documento non basta agire strategicamente, ricorrendo a misure strutturali: occorre cogliere anche il bisogno di innovazione che queste mete impongono, sia rispetto alle forme imposte dall’ideologia neo-liberale, sia rispetto alle inerzie sul piano ambientale. Insomma la pandemia ha messo a dura prova il nostro Paese, ma può anche essere un’importante occasione per mettere a punto nuove e più attrezzate visioni sui grandi temi politici del nostro tempo, e per porre le basi per una “Next Generation Italy”.

Maria Rosaria Ferrarese è docente di Sociologia del diritto all'Università di Cagliari