La Fisac Cgil lombarda esprime forte preoccupazione per le recenti mosse di Regione Lombardia in ambito sanitario. “L’ultima delibera regionale, la 4986/2025, rappresenta un ulteriore passo nel progressivo smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale pubblico – scrive la categoria dei lavoratori del credito in una nota –. Invece di rafforzare la sanità pubblica per garantire a tutti cure tempestive ed efficaci, la Regione apre le porte a fondi sanitari integrativi, mutue e assicurazioni, trasformando di fatto quella che dovrebbe essere un’integrazione in una sostituzione delle cure pubbliche”.

L’attacco al servizio pubblico e il modello “a tre classi”

Regione Lombardia giustifica la possibilità data alle aziende sanitarie pubbliche di convenzionarsi con fondi e assicurazioni citando il “largo ricorso” dei cittadini alla sanità integrativa. “Ma non si interroga sulle cause di questo fenomeno – scrive la Fisac –: liste d’attesa infinite e carenza cronica di personale nel sistema pubblico hanno spinto molti lombardi, loro malgrado, a rivolgersi a soluzioni private, pagando di tasca propria pur di curarsi. Invece di investire per risolvere questi problemi – assumendo medici e infermieri, potenziando le strutture pubbliche – la Giunta regionale preferisce incanalare sempre più persone verso il privato. Emblematico è che la stessa Regione, con un’altra delibera (DGR 5057/2025), ammetta di non poter raggiungere gli obiettivi di riduzione delle attese ‘per difficoltà strutturali’ e stanzi 10 milioni di euro di risorse pubbliche in più a favore delle strutture private accreditate per smaltire le prestazioni che il pubblico non garantisce. In pratica, si finanzia il privato perché il pubblico è stato lasciato senza mezzi sufficienti. Non è una semplice incoerenza, ma un preciso disegno strategico per demolire la sanità pubblica e svuotare il principio universalistico del diritto alla salute”.

Fisac Cgil Lombardia: “Si profila un sistema sanitario a tre velocità”

Lo scenario delineato da queste scelte secondo il sindacato è “inquietante: si profila un sistema sanitario a tre velocità, dove la possibilità di curarsi dipende dal reddito e dal tipo di copertura posseduta”. Una prima classe di cittadini “solventi”, che possono permettersi cure a pagamento nel sistema privatistico puro. Una seconda classe di cittadini con polizze assicurative, fondi integrativi o mutue (welfare aziendale), che possono “saltare la fila” utilizzando canali riservati a pagamento agevolato. Una terza classe di cittadini che si affidano esclusivamente al Servizio Sanitario Nazionale pubblico, subendo liste di attesa sempre più lunghe.

“È intollerabile – scrive la Fisac – che, mentre la maggioranza delle persone lotta per ottenere un appuntamento o un esame essenziale, vengano ridotti ulteriormente gli spazi prenotabili nel pubblico per fare posto a percorsi riservati ai titolari di fondi e assicurazioni. Questo modello ‘misto’ sempre più simile a quello americano crea ingiustizia sociale e nega i principi di universalità, uguaglianza ed equità su cui dovrebbe basarsi la nostra sanità”.

Welfare aziendale e polizze sanitarie: un pericolo di esplosione dei costi

La Fisac Cgil, sindacato dei lavoratori del credito e delle assicurazioni, pone l’accento su un aspetto cruciale e spesso trascurato: l’impatto di queste politiche sul welfare aziendale, in particolare sulle polizze sanitarie integrative negoziate nei contratti di secondo livello (contrattazione integrativa). “Da anni, attraverso la contrattazione, abbiamo ottenuto per molte persone coperture sanitarie aggiuntive come parte del pacchetto di welfare aziendale – si legge nella nota –. Tali polizze nascono con l’idea di integrare il Servizio Sanitario Nazionale, fornendo rimborsi o prestazioni extra a complemento del sistema pubblico, e non certo di rimpiazzarlo. Ma se l’impostazione di Regione Lombardia dovesse affermarsi, queste polizze aziendali rischiano di essere travolte”.

“Seguendo l’approccio lombardo, infatti, si rischia di far esplodere i costi della sanità integrativa: le assicurazioni sanitarie contrattuali potrebbero essere usate in maniera massiccia e sistematica per coprire bisogni sanitari anche essenziali, perché il pubblico non li garantisce più nei tempi dovuti. Ciò significa – spiegano dalla Fisac – un boom di richieste di prestazioni a carico dei fondi integrativi e delle assicurazioni, con conseguente aumento vertiginoso dei costi da sostenere. I premi assicurativi e i contributi ai fondi sanitari lieviterebbero rapidamente, diventando sempre più onerosi sia per le aziende che finanziano questi schemi di welfare, sia per i lavoratori stessi. In altre parole, quello che oggi è un beneficio contrattuale rischia di trasformarsi in un fardello economico sia per i datori di lavoro sia per i dipendenti”.

La storia, ricorda la federazione Cgil dei lavoratori del credito, ci offre un monito chiaro in proposito. “Il vecchio sistema delle mutue sanitarie, in vigore prima della riforma del 1978, fallì sia economicamente sia in termini di tutela equa della salute. Fu proprio per porre fine a quelle disparità e inefficienze che nacque il Servizio Sanitario Nazionale pubblico e universalistico. Ripercorrere quella strada al contrario, reintroducendo di fatto un sistema mutualistico frammentato, significa rischiare lo stesso collasso finanziario. Oggi oltre dieci milioni di persone in Italia aderiscono a qualche forma di sanità integrativa, un numero in costante aumento. Spingere ulteriormente questa platea verso il ruolo di pilastro principale della sanità significherà moltiplicare a dismisura la spesa da coprire. Già adesso i fondi sanitari integrativi hanno visto crescere costantemente la spesa per prestazioni sanitarie negli ultimi anni, segno che sempre più prestazioni vengono intermediate da questi enti. Se la sanità pubblica arretra ancora, quei costi sono destinati a esplodere. E a pagarli, direttamente o indirettamente, sarà chi lavora e in generale tutta la cittadinanza: attraverso premi assicurativi più alti, minori aumenti salariali (quando il welfare aziendale sostituisce parte del salario) o, peggio, rinunciando alle cure se non potranno permettersele”. 

L Fisac lancia anche un monito: sfatare l’idea che il welfare integrativo aziendale possa proteggere tutti senza problemi. “Le polizze sanitarie contrattuali – spiega – hanno massimali, esclusioni e limitazioni; erano calibrate per coprire determinate prestazioni integrative, non per farsi carico dell’intero fabbisogno sanitario di massa. Sovraccaricarle di funzioni ‘sostitutive’ le renderà insostenibili e meno efficaci proprio quando le persone ne avranno più bisogno. I lavoratori del credito e delle assicurazioni, come tutti i cittadini, hanno interesse prima di tutto a un sistema pubblico efficiente. Il welfare sanitario aziendale può essere un aiuto in più, ma non può diventare la stampella su cui poggia l’intero diritto alla salute di una collettività”.

Difendere la sanità pubblica per salvaguardare tutti i cittadini

“Denunciamo con fermezza – scrive per concludere la federazione – il pericolo di questa deriva. La strada intrapresa da Regione Lombardia rischia di portare a un sistema sanitario regionale per pochi privilegiati, scaricando i costi sul welfare integrativo aziendale e sui singoli. Come sindacato, non possiamo accettare che il diritto alla salute venga frammentato in base al contratto di lavoro o al reddito personale. Riaffermiamo che la salute è un diritto universale e deve restare tale: il Servizio Sanitario Nazionale va difeso e potenziato, non indebolito. Continueremo a batterci, insieme a tutta la Cgil, contro ogni tentativo di aziendalizzare o privatizzare la sanità”.

La Fisac Cgil Lombardia chiede “investimenti seri nel pubblico: più assunzioni di personale sanitario, riduzione delle liste d’attesa attraverso soluzioni strutturali, utilizzo efficiente dei fondi pubblici per migliorare i servizi per tutti e non per finanziare scorciatoie per pochi. Solo rafforzando il sistema pubblico potremo tenere sotto controllo i costi complessivi della sanità e garantire davvero un welfare sostenibile. La sanità integrativa aziendale, negoziata nei contratti, deve tornare ad essere ciò per cui è nata: un supporto aggiuntivo, limitato e circoscritto, per alcune esigenze specifiche. Se invece la trasformiamo nell’asse portante delle cure, finirà per crollare sotto il peso delle aspettative e dei costi, lasciando scoperte proprio le persone più deboli. Non permetteremo che ciò accada. Difendere il Servizio Sanitario Nazionale pubblico in Lombardia oggi vuol dire anche tutelare il valore del welfare aziendale conquistato da chi lavora, evitando che venga snaturato e reso insostenibile”.

Il sindacato ribadisce la propria contrarietà netta “a questo modello sanitario ‘misto’ e l’impegno a mobilitarci affinché in Lombardia – e in Italia – si invertano queste scelte. La salute non è un lusso né un privilegio aziendale: è un diritto di tutti i cittadini, da garantire attraverso un sistema pubblico equo e solidale. È su questo che costruiremo le nostre prossime iniziative, uniti nella difesa dei principi di universalità, uguaglianza ed equità che devono rimanere il fondamento della sanità”.