È passato ormai quasi un anno e mezzo da quando l’Organizzazione internazionale del lavoro ha approvato la Convenzione 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul lavoro. Lo ha fatto durante la sessione del centenario, nel giugno 2019, accompagnandola con una raccomandazione sullo stesso tema. Una scelta significativa con cui l’agenzia delle Nazioni unite ha voluto legare i propri cento anni di storia richiamando fin da subito la Dichiarazione universale dei diritti umani e impegnando gli Stati membri a un approccio inclusivo, nonché all’adozione di leggi, regolamenti e politiche che garantiscano il diritto alla parità e alla non discriminazione e diano attuazione ai principi e ai diritti fondamentali del lavoro.

Violenza e molestie nel mondo del lavoro “possono infatti costituire una violazione o un abuso dei diritti umani (…) una minaccia per le pari opportunità, inaccettabile e incompatibile con il lavoro dignitoso”. L’Ilo ha fatto la sua parte ma in questi 17 mesi solo tre Stati membri hanno proceduto alla ratifica. Si tratta di Fiji, Uruguay e Argentina. Tre firme che però bastano per fissare la data di entrata in vigore della Convenzione al 25 giugno 2021. L’Italia, dal canto suo, ha avviato il percorso grazie alla proposta di legge di cui è prima firmataria l’onorevole Laura Boldrini, un disegno che ha ottenuto il via libera della Camera lo scorso 23 settembre e che ora attende di essere esaminato in Senato.

“È molto importante che l’Italia sia tra i primi Paesi a ratificare la Convenzione, rendendola così effettiva” – commentava in quell’occasione Susanna Camusso, responsabile politiche di genere della Cgil nazionale - quella ratifica “deve rappresentare un impegno ad attuare vere politiche di contrasto alle molestie e alle violenze sul lavoro. Essa è frutto dell’iniziativa del movimento delle donne e delle organizzazioni sindacali, e sancisce che senza il rispetto delle persone, delle donne, non solo non può esserci un buon lavoro, ma si è in presenza di una violazione dei diritti umani”.

È per questa ragione che il sindacato, in Italia e in tutto il mondo, è impegnato in una campagna battente nei confronti dei rispettivi governi. Eliminare violenza, abusi e molestie sessuali in tutti gli ambiti che afferiscono al lavoro è l’obiettivo che non si può mancare. A rendere tangibile l’urgenza di un’azione è stato negli ultimi tre anni anche un movimento che si è raccolto attorno a due semplici parole: “Me too”, “Anche io”. Era l’ottobre del 2015 quando un’attrice statunitense, Alyssa Milano, invitò chiunque fosse stato vittima a denunciarlo attraverso quell’hashtag.

Una denuncia pubblica rimbalzata dai social alle aule di tribunale fino a piazze e strade, dall’industria cinematografica a ogni settore professionale. In soli due giorni mezzo milione di persone twittò sul tema, mentre su facebook i post furono 12 milioni in 24 ore. Trovare la forza e il coraggio di denunciare è difficile. Merito del movimento è stato proprio quello di aiutare chi aveva subito l’abuso a non avere paura né a vergognarsi. È un cammino diverso, certo, quello che passa per il Me Too e arriva alla Convenzione dell’Ilo ma che segue un’unica direzione e persegue la stessa meta.