Ancora una strage di migranti in mare, nei pressi dell'arcipelago delle Kerkhennah, al largo della Tunisia. Sono almeno trentaquattro i morti, molti dei quali sono donne e tre sono bambini, vittime delle organizzazioni di trafficanti che hanno ripreso a far partire i migranti da Libia e Tunisia. È per questo che le Organizzazioni non governative hanno deciso di rimettere in mare le tanto contestate navi umanitarie, bloccate nei porti dopo lo stop dovuto alla pandemia.

Il nostro lavoro rimarrà quello di sempre – racconta a Colletiva.it Giorgia Linardi, portavoce in Italia di Sea Watch, l’organizzazione non governativa tedesca che porta in salvo i migranti in mare e la cui nave è ripartita da Messina la scorsa settimana -, essere in mare proprio perché le istituzioni non ci sono e continuano a ignorare la situazione nel Mediterraneo o ad assumere approcci che sono tutt’altro che civili, come gli accordi con la Libia che vedono il respingimento sistematico proprio nei lager dai quali tentano di fuggire e che troviamo davvero poco dignitoso”.

Linardi ci spiega che tornano in mare dopo il lockdown perché in mare non c’è nessun altro: non dovrebbero esserci loro e non dovrebbero esserci mai stati. I motivi sono due e ce li spiega. “Siamo i primi a sperare che le persone non debbano ricorre all’attraversamento del mare nelle condizioni che conosciamo – afferma Linardi -, ma che lo possano fare per le vie legali e sicure. Tuttavia manca ancora interesse per la creazione di queste vie, perché i governi piuttosto reputano di intervenire su operazioni di rimpatrio e di controllo delle frontiere anche a costo di tenere le persone chiuse in centri di detenzione dove vengono torturati, sono oggetto di estorsione e dove di fatto la scelte del governo italiano e dell’Unione europea non fanno che alimentare il traffico di esseri umani. Chi riesce a sfuggire da queste prigioni finisce in mare e viene riportato indietro dalle autorità libiche supportate e finanziate dalla Ue e con le quali l’Italia ha un accordo bilaterale - e recentemente anche Malta - per essere di nuovo abusati nei centri di detenzione, e così via in un circolo vizioso. L’altro motivo è che ad oggi non esiste ancora un dispositivo di soccorso istituzionale, vale a dire una missione da parte dei governi europei che abbia un chiaro mandato di ricerca e soccorso”.  

Nelle scorse settimane. a peggiorare la situazione, è arrivato infatti anche l’accordo tra Malta e la Libia, un accordo sui respingimenti che delinea una sorta di caccia al migrante e che, secondo la portavoce di Sea Watch, non fa che rafforzare il filo esistente tra Italia e Libia e “la possibilità di commettere quelli che si qualificano come crimini sotto il profilo del diritto internazionale, dando invece una sorta di quadro di legittimità”. Linardi ci ricorda che l’Italia è stata già condannata in merito alla pratica dei respingimenti collettivi nel 2011, proprio perché riportava le persone in Libia con le sue navi militari, e che “quindi ora siamo arrivati a una versione più sottile di questa pratica: il lavoro non viene più svolto dalle navi italiani o maltesi, ma lo si fa fare ai libici così da aggirare il crimine di respingimento, che in realtà avviene lo stesso ma per procura. Addirittura il mese scorso Malta si è macchiata di questo crimine facendo fare l’opera di respingimento ad alcuni pescherecci”.

Alla domanda se le ong si aspettino un atteggiamento diverso nei loro confronti dall’attuale governo rispetto a quello precedente che vedeva Matteo Salvini all’Interno e quasi una dichiarazione di guerra nei confronti delle navi umanitarie, Giorgia Linardi risponde che le aspettative sono state disattese, perché “nella sostanza non vi è un atteggiamento differente, ma solamente una diversa forma nel comunicare. Il governo precedente aveva fatto dell’attacco alle ong il proprio marchio della campagna politica, questo invece lo fa in maniera più silenziosa, sottile, subdola, senza che però siano mancate le iniziative per scoraggiare la presenza di navi umanitarie in mare”. Nel decreto legge del 7 aprile si dichiara infatti che durante l’emergenza Covid l’Italia non risponde più ai parametri di porto sicuro, “andando così contro la normativa internazionale e riferendosi soltanto alle navi con bandiera straniera che hanno effettuato soccorso fuori dall’area SAR (ricerca e soccorso) italiana”.

La portavoce di Sea Watch fa sapere che negli ultimi mesi “le organizzazioni non governative sono state oggetto di accanite ispezioni, perché, sopperendo alla mancanza da parte delle autorità, sono intervenute quando le persone son state abbandonate per giorni in mare nonostante esistano i dispositivi aerei di Frontex. Italia e Malta hanno deciso di non intervenire e questo si qualifica come crimine di omissione di soccorso, mentre le navi umanitarie sono intervenute e quindi punite con ispezioni perché non accompagnate da predisposizione di assetti in mare per il soccorso”.  Per chi è impegnato in queste organizzazioni e su queste navi poco importa la percezione che si può avere dall’esterno, importa invece cosa possono fare con il loro operato.

"Le autorità si ostinano a non volersi responsabilizzare per un fenomeno che anche questo governo tratta come emergenziale, come hanno fatto già troppi governi – afferma Linardi -. Manca invece un approccio strutturale e di responsabilità anche da parte dell’Unione europea e noi ci associamo alla richiesta dell’Italia in questo senso, lo facciamo lavorando moltissimo in Germania attraverso contatti con il governo tedesco e con le città solidali pronte ad accogliere i migranti nonostante le norme di Dublino. Noi ci impegniamo, ma questo non può tradursi nel lasciare le persone in mare o a bordo di navi che le soccorrono per giorni e giorni”. Le questioni del rimpatrio e della distribuzioni dei migranti sono le richieste dell’Italia, “ma al centro – conclude - non viene mai posta la costruzione di vie sicure e legali in alternativa alla tratta di esseri umani”.