La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999. Nella risoluzione viene precisato che si intende per violenza contro le donne “qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata”.

La data di questa giornata internazionale segna anche l’inizio dei “16 giorni di attivismo contro la violenza di genere” che precedono la Giornata mondiale dei diritti umani il 10 dicembre, per sottolineare come la violenza contro le donne sia una violazione dei diritti umani. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come data della ricorrenza e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ong a organizzare in quel giorno attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne.

Ma perché proprio il 25 novembre?

Il 25 novembre del 1960 nella Repubblica Dominicana venivano uccise le sorelle Mirabal, Patria, Minerva e Maria Teresa, per ordine del dittatore Rafael Leónidas Trujillo. Saranno picchiate, violentate, strangolate e gettate in un fosso nel tentativo di far sembrare la loro morte un incidente.  Nessuno crederà a questa versione dei fatti e il femminicidio delle tre sorelle Mirabal catalizzerà l’attenzione internazionale e locale contro il sanguinoso regime dittatoriale di Rafael Leonidas Trujillo, assassinato dai capi militari della Repubblica Dominicana il 30 maggio dell’anno successivo.

Dal novembre 1960 tantissime saranno le donne uccise

Secondo un rapporto del Viminale, solo nell’ultimo anno - tra il 1° agosto 2021 e il 31 luglio 2022 - in Italia sono state ammazzate 125 donne, in media più di una ogni 3 giorni (è una donna il 39,2% del totale delle vittime di omicidio volontario in Italia). La stragrande maggioranza dei femminicidi è compiuta in ambito familiare o affettivo, in particolare da un partner o ex. L’autore della violenza è prevalentemente italiano e questo dato, oramai consolidato negli anni, mette in discussione uno stereotipo - uno dei tanti, troppi, purtroppo - tanto diffuso quanto falso.

Il 25 novembre ormai di tre anni fa - ma la situazione non sembra purtroppo essere cambiata molto! - l’Istat divulgava una serie di statistiche.  Oltre ai consueti dati sulle vittime di femminicidio, l’Istituto presentava i risultati dell’indagine Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale. Secondo la rilevazione, quasi 1 persona su 4 (23,9%) ritiene (e quanto ci piacerebbe non dovere più utilizzare questo presente!) che un modo di vestire succinto possa provocare una violenza sessuale.  Quasi il 40% pensa che, se una donna lo vuole davvero è in grado di sottrarsi a un rapporto non consensuale.  Il 15% crede che se una donna subisce uno stupro quando è ubriaca o drogata sia in parte responsabile. Peggio: per il 10,3% della popolazione spesso le accuse di violenza sessuale sono false; per il 7,2% “di fronte a una proposta sessuale le donne spesso dicono no ma in realtà intendono sì”, per il 6,2% le donne serie non vengono violentate.

La vittimizzazione secondaria

Donne non credute, non tutelate, non protette, tradite da chi dovrebbe garantire loro una giustizia non sempre ottenuta, ri-vittimizzate da coloro i quali - e le quali - scelgono di mettere sul banco degli imputati le loro abitudini di vita, le loro scelte personali, i loro costumi.

“Processo per stupro”, il documentario che aprì il dibattito sulla criminalizzazione delle vittime nei tribunali, è del 1979. Realizzato da sei giovani registe (Loredana Rotondo, Rony Daopulo, Paola De Martis, Annabella Miscuglio, Maria Grazia Belmonti e Anna Carin) fu il primo documentario su un processo per stupro mandato in onda dalla Rai. “La violenza c’è sempre stata - diceva nella sua arringa l’avvocato Giorgio Zeppieri - E allora, Signor Presidente, che cosa abbiamo voluto? Che cosa avete voluto? La parità dei diritti. Avete cominciato a scimmiottare l’uomo. Voi portavate la veste, perché avete voluto mettere i pantaloni? Avete cominciato con il dire 'Abbiamo parità di diritto, perché io alle 9 di sera debbo stare a casa, mentre mio marito il mio fidanzato mio cugino mio fratello mio nonno mio bisnonno vanno in giro?' Vi siete messe voi in questa situazione. E allora ognuno purtroppo raccoglie i frutti che ha seminato. Se questa ragazza si fosse stata a casa, se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente”.

“Se le ragazze fossero rimaste accanto al focolare, dove era il loro posto - dirà nella sua arringa finale l’avvocato di Gianni Guido, Angelo Palmieri, durante il processo per i fatti del Circeo - se non fossero uscite di notte, se non avessero accettato di andare a casa di quei ragazzi, non sarebbe accaduto nulla”. Era ieri.  È oggi, purtroppo. Tante cose sono cambiate. Altre invece no.

Passano gli anni, ma è sempre la donna, la vittima, a subire il processo mediatico: la sua identità spesso violata, esposta, esibita, persino condannata in alcune sentenze che ne sottolineano contegno e abbigliamento (la vittima era “alterata dall’alcol”, la cerniera dei pantaloni della ragazza, strappata dall’aggressore durante lo stupro, “di modesta qualità” - 2022; la vittima “indossava i jeans”, ovvero “un indumento che non si può sfilare nemmeno in parte senza la fattiva collaborazione di chi lo porta” - 1999; la ragazza “è troppo mascolina” - 2019… e l’elenco potrebbe essere infinito).

“Tengo con la mano destra la giacca chiusa sui seni scoperti - diceva Franca Rame - È quasi scuro. Dove sono? Al parco. Mi sento male… (…) Appoggio la testa a un albero… mi fanno male anche i capelli… me li tiravano per tenermi ferma la testa. Mi passo la mano sulla faccia… è sporca di sangue. Alzo il collo della giacca. Cammino… cammino non so per quanto tempo. Senza accorgermi, mi trovo davanti alla Questura. Appoggiata al muro del palazzo di fronte, la sto a guardare per un bel pezzo. Penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora… Sento le loro domande. Vedo le loro facce… i loro mezzi sorrisi… Penso e ci ripenso… Poi mi decido… Torno a casa… torno a casa… Li denuncerò domani”.

Li denuncerò domani….  Era ieri.  Facciamo in modo - tutte e tutti insieme - che non sia più oggi, che non sia più domani, che non sia solo il 25 novembre.