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Fanno ancora discutere i tagli al settore dell’audiovisivo programmati dal ministro della Cultura Alessandro Giuli. E nel corso delle ore continuano a emergere dettagli sempre più preoccupanti. Non solo il taglio di 150 milioni al Fondo per il cinema inserito nel testo della Finanziaria. Ma un ulteriore decurtazione di 540 milioni in due anni, chiesti da Giuli al ministero dell’Economia e delle Finanze. Una notizia che mette in allarme tutti nel mondo del cinema: artisti, maestranze, imprese e sindacati.
“Il ministero della Cultura presta il fianco con questa legge di bilancio a critiche sensate e prevedibili” commenta Sabina Di Marco, segretaria nazionale, con delega alla produzione culturale, della Slc Cgil da Birmingham, dove per la categoria è impegnata nei lavori del congresso della Fia, la Federazione Internazionale degli Attori.
La segreteria italiana della categoria ha chiesto solidarietà e condivisione d'intenti e mobilitazioni, per affrontare in maniera compatta un processo di progressivo impoverimento del settore dello spettacolo e della cultura, a causa di politiche globali che investono sempre meno in questi settori strategici, fonti di sviluppo e democrazia.
“I tagli al cineaudiovisivo sono fatti senza un vero progetto di riforma del sistema – commenta Di Marco - e senza aver proceduto con gradualità e condivisione, in particolare con il mondo del lavoro del settore, che rischia di subire un'importante impennata della disoccupazione”. Gli ultimi, inquietanti, episodi confermano una prassi del governo tesa a evitare costantemente il dialogo con le parti sociali, oltre a un progressivo e scientifico abbandono nei confronti del cinema italiano.
“Occorre affrontare in modo sistematico e coerente il tema del finanziamento pubblico allo spettacolo” osserva infatti Di Marco, enumerando i diversi contratti ancora aperti e la costante incertezza sulle risorse destinate, dalle fondazioni liriche ai teatri. “Con i tagli al cinema si offre una buona giustificazione per non procedere con il rinnovo del contratto collettivo delle troupes, causa: crisi del settore”.
In tutto questo s'innesta la testarda posizione di sovrintendenza e governo nel mantenere la nomina di Beatrice Venezi alla Fenice come direttore musicale, “senza aprire al dialogo con le organizzazioni sindacali – conclude la segretaria - in un insensato braccio di ferro che non vuole tener conto di quanto sia importante la collaborazione e la compatibilità tra orchestre e direttori artistici. Aspettiamo che si abbassino i toni, per tentare di contribuire a valorizzare un settore che avrebbe bisogno di meno ideologia e più regole”.






















