Se lo stato di salute del mondo dell’editoria italiana dovesse misurarsi in base alle vendite e le presenze di questa 36ma edizione del Salone internazionale del Libro di Torino non avremmo molto di cui preoccuparci. Ma ovviamente il bilancio annuale di un editore non si basa su quanto accade durante le cinque giornate appena concluse nei padiglioni del Lingotto, anche se questo ormai tradizionale appuntamento è divenuto un termometro che ben restituisce la temperatura della filiera di mercato che ruota attorno al libro nel nostro Paese.

C’era molta attesa quest’anno, soprattutto per il passaggio di consegne tra Nicola Lagioia e Annalena Benini alla direzione della manifestazione, e per l’opportunità di poter osservare da vicino se quel sentimento di rivalsa in termini di egemonia culturale che aleggia in ambienti governativi, sarebbe stato alimentato anche in occasione di una vetrina dalla quale, sin dal pomeriggio dell’inaugurazione, non poche figure istituzionali hanno cercato di mettersi in mostra, d’altronde in linea con una prassi consolidata.

A passeggio tra gli stand si è in realtà respirata la solita aria, l’atmosfera frizzante di una cerimonia laica seppur più rarefatta, in particolare durante l’intera giornata di sabato (soltanto dopo la prima ora di apertura si erano registrati oltre 10.000 ingressi) e nel pomeriggio di domenica, prima del fisiologico calo del lunedì, nella mattinata caratterizzato prevalentemente dallo sciamare di studenti e studentesse di diverso ordine e grado, in serata dall’immancabile contestatore, stavolta toccato all’attore Stefano Massini, al quale, insieme all’appellativo di “comunista”, è stato intimato di ammettere che “Hitler aveva ragione” durante la sua interpretazione del Mein Kampf. C’è poco da commentare.

Tutto bene dunque, ma non benissimo. Al netto dell’aumento degli incassi, in virtù di un pubblico ogni anno crescente (questi almeno dicono i dati ufficiali) non tutti gli editori si ritengono soddisfatti, soprattutto tra i piccoli e indipendenti, in virtù di una relativa visibilità delle loro proposte inserite nel programma, e di una collocazione all’interno degli spazi a volte penalizzante, specie ora che alla storica ubicazione dei tre padiglioni centrali se n’è aggiunto un quarto, dove sono stati trasferiti l’Arena Boostock e le presentazioni dedicate ai temi della scuola, oltre a quel Padiglione Oval, fisicamente staccato dagli altri, che da qualche anno ospita i più grandi gruppi editoriali, quasi a voler marcare una certa distanza.

Tra le novità che nel bene e nel male hanno inciso in questa edizione, la scelta di non mettere a disposizione il programma cartaceo dei numerosissimi eventi, bensì soltanto la sua versione digitale, da consultare sul proprio schermo telefonico; iniziativa che qualcuno potrà ritenere un dettaglio o un’operazione meritoria rispetto un minor consumo di carta, il cui effetto immediato però è stato accrescere non di poco la confusione tra i corridoi, con fiumi di persone vaganti, indecise sul dove andare, a quale incontro assistere, come arrivarci, creando in questo modo code meno gestibili anche per l’utilizzo dei servizi, dal bar alla toilette.

Qualcosa da rivedere nell’organizzazione ci sarà, dunque, malgrado la sensazione rimanga quella di un grande carrozzone divenuto ormai enorme, che sostanzialmente ogni volta si ricompone quasi per forza d’inerzia, attraverso l’attività specifica di migliaia di operatori tra magazzinieri e standisti, uffici commerciali e uffici stampa, responsabili diritti e responsabili eventi, redattori e traduttori, editori ed editor, in una babele che riesce comunque a garantire un angolo di visibilità a tutti, chi più (o molto di più) chi meno (o molto di meno).

Poi chiaramente ci sono gli autori, i libri, le loro forme e contenuti. Per citarne solo un paio tra i più seguiti, a loro modo emblematici, dovrebbe far riflettere il grande affetto ricevuto da Joël Dicker, autore svizzero che con la sua ultima pubblicazione Un animale selvaggio (La nave di Teseo) continua ad appassionare milioni di lettori, scalando le classifiche nostrane e internazionali, dopo esser divenuto un fenomeno editoriale con La verità sul caso Harry Querbert. La sua presenza ha suscitato emozione e intensa partecipazione da parte soprattutto delle nuove generazioni, come sentissero l’esigenza di ritrovarsi attorno a qualcuno in grado di esprimere con la propria scrittura la natura dei sentimenti umani, attraverso una tecnica della suspense che incolla tantissimi giovani alle sue pagine.

Un pubblico certamente diverso, ma numeroso all’inverosimile, ha invece assistito alla lezione di Aldo Cazzullo, giornalista tra i più noti, che il giorno dopo aver presentato il suo ultimo lavoro Quando eravamo i padroni del mondo. Roma: l’impero infinito (Harper Collins) ha voluto ripercorrere con minuzia di particolari la drammatica vicenda biografica di Giacomo Matteotti nel centenario del suo brutale omicidio, le reiterate minacce e i precedenti pestaggi, i nomi di assassini e mandanti, le responsabilità di pavide monarchie e dittature sanguinose, ribadendo come più della memoria condivisa bisognerebbe incentivare lo studio della storia, dei fatti realmente avvenuti, consapevoli che “ci sono state persone sbagliate dalla parte giusta, e persone giuste dalla parte sbagliata”: ma la parte giusta e quella sbagliata della storia non possono essere confuse. E se nel luogo in cui a Roma venne ucciso Matteotti non è stato possibile esporre una targa in ricordo di quella tragedia, allora oggi, in questo Paese, abbiamo un problema; problema che, nel segno dei tempi, va affrontato con gli strumenti della conoscenza. La platea, visibilmente commossa, si è alzata in piedi per applaudire a lungo. Molto a lungo.

Sarà pur cambiato il vento, ma per l’assalto alla presunta egemonia culturale meglio ripassare.