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Fino a gennaio 2026 You Have to Be Deaf to Understand, lo spettacolo simbolo della poetica di Diana Anselmo – attivista, regista e performer sordo – farà tappa in sei città italiane. Un’esperienza visiva e lirica, accessibile a tutti, che mira a scardinare le dinamiche abiliste. Lo spettacolo è partito il 5 ottobre da Roma, e rientra nel più ampio progetto artistico Beyond Signs, sostenuto dal programma Creative Europe. La scintilla è stata, per Diana Anselmo, la lettura dell’omonima poesia di Willard J. Madsen, professore sordo della Gallaudet University. “Leggendo la traduzione italiana mi sono reso conto che alla sordità venivano associate delle sfumature di senso negative – spiega Anselmo – che invece non c’erano in lingua originale”. La motivazione principale di questa discrasia è da ricercarsi, secondo l’artista, nel fatto che Madsen fosse sordo, e dunque in grado di descrivere personalmente e perfettamente un’esperienza che per chi non lo è assume connotazioni di “mancanza”.
L’accessibilità come diritto fondamentale
La performance nasce dall’incontro tra ricerca artistica e impegno sociale, allo scopo di stimolare una riflessione sull’abilismo e le sue conseguenze nella società. Diana Anselmo è tra i fondatori di Al.Di.Qua. Artists (Alternative Disability Quality Artists), la prima associazione europea interamente gestita da artisti disabili, dedicata all’advocacy per l’accesso e i diritti degli artisti con disabilità. Il suo lavoro indaga l’accessibilità come diritto fondamentale, e lo fa con un capovolgimento di senso e di prospettiva che lascia sempre spiazzati. Attraverso l’espressione artistica del Visual sign, l’artista lavora sul concetto di accessibilità al contrario.
Il dialogo tra pubblico sordo e udente
“Sono un performer e artista visivo sordo e nativo segnante – spiega Anselmo - ciò vuol dire che la mia lingua madre è la lingua dei segni italiana. Con questo lavoro ho dovuto fare il percorso inverso, ovvero chiedermi come rendere ‘accessibile’ a tutti una forma artistica propria delle persone sorde, segnanti”. Lo spettacolo, per la cui regia l’artista è affiancato da Daniel Bongioanni e DMK, trasforma ogni movimento in veicolo di significato, e apre un dialogo profondo tra pubblico sordo e udente, rendendo possibile al pubblico sordo di fruire pienamente della performance e offrendo al pubblico udente una rappresentazione del vissuto della comunità sorda in contesti in cui la loro presenza è spesso ignorata.
Ripensare la disabilità attraverso la pratica artistica
“Nella mia ricerca, i temi che affronto maggiormente sono quello del fonocentrismo, del linguicismo, della comunità sorda”. La sua esperienza personale di sordità diventa un potente strumento di narrazione e riflessione, affrontando le discriminazioni istituzionali, sistemiche e interpersonali che la comunità sorda incontra quotidianamente. Grazie al supporto artistico di Juli Klintberg e Ramesh Meyyappan e alla progettualità di Fattoria Vittadini, lo spettacolo diventa un vero spazio politico-poetico, che invita il pubblico a ripensare la diversità, l’accessibilità e l’inclusione nella pratica artistica contemporanea.
Linguicismo e fonocentrismo: due forme di discriminazione
"Mi piacerebbe che lo spettatore e la spettatrice si portassero a casa un’opera mai vista prima, vivendo in un contesto sociale permeato completamente dal fonocentrismo e dal linguicismo” confessa Anselmo, facendo notare come la sordità venga incorniciata e definita concettualmente come alterità rispetto a tutto ciò che è predominante. “Ma io non sono ciò che sono perché tu sei altro da me. Bensì io sono io perché tu sei tu – spiega –. Invece noi abbiamo sempre bisogno di trasformare l’alterità in una identità opposta alla nostra”. Da questo presupposto nascono classismo, razzismo, sessismo, xenofobia, colonialismo. Diana Anselmo, con questa riflessione, invita a ripensare l’alterità non come concetto dicotomico, ma al contrario come ciò che nasce dall’incontro. “Quando alla fine dei miei spettacoli le persone mi chiedono come fare per cambiare le cose, la mia risposta è ridicola, nella sua disarmante semplicità: incontrateci. Incontriamoci”.