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“…Lorde, come femminista, socialista, nera, lesbica, appartenente a coppia interrazziale e madre di due figli, si è trovata sempre a far parte di una qualche minoranza deviante, inferiore, sbagliata”. Questa una delle descrizioni più incisive riguardanti la figura e la personalità di Audre Lorde, contenuta ne Il vostro silenzio non vi proteggerà (Solferino, pp. 156, euro 15,50), un pamphlet politico-sentimentale che racconta la storia di una donna diversa per natura, genere, formazione e costituzione, la cui pelle nera si è trovata sin dalla prima adolescenza a fare i conti con una realtà, quella statunitense del primo e secondo Novecento, rimasta ostile e violenta per cultura, oltre che per ideologia, malgrado le tante battaglie portate avanti nel mondo della letteratura e della società da persone come Audre Lorde, che dal 1934 al 1992 ha voluto percorrere ogni strada possibile verso il riconoscimento e la legittimazione della propria diversità. Abbiamo rivolto alcune domande all’autrice del libro, Caterina Venturini.
Nel tuo percorso di scrittrice come e quando è arrivata Audre Lorde?
Ho scoperto Audre Lorde attraverso un laboratorio femminista all’università, dal titolo “Sguardi sulle differenze”, divenuto crocevia per tante giovani femministe. Lorde non era ancora tradotta in italiano, a parte pochi articoli di attiviste, femministe e lesbiche (ci tengo a dirlo). Dopo questa esperienza ho letto e approfondito Lorde in un altro momento della mia vita, quando dovevo preparare un intervento per il festival “Inquiete”, e al contempo anch’io mi sono ammalata. Lì mi sono dedicata in particolare al testo della sua autobiografia “Zami. Così riscrivo il mio nome”.
In Italia non è una figura non ancora molto conosciuta. In che modo hai lavorato?
Ora è più conosciuta, come dicevo grazie al lavoro delle attiviste, alla traduzione della sua autobiografia, e del libro che raccoglie i suoi interventi e i suoi articoli, “Sorella Outsider”, pubblicato da Meltemi. Poi mi sono appoggiata ai suoi epistolari, non ancora tradotti in italiano, e ho letto e riletto la biografia scritta da Alexis De Veaux: Warrior poet: A biografy of Audre Lorde (Norton, 2006), oltre ad aver avuto sempre come riferimento il femminismo non bianco, che trova ancora molta difficoltà nell’essere tradotto in Italia.
Nella ricostruzione del percorso di autrice si insiste molto sull’originalità di Lorde, questa sua capacità di scrivere sia in versi che in prosa.
Lorde comincia a esprimersi in poesia, un modo per creare una realtà diversa, e per affrontare le problematiche che vive in famiglia, oltre la quotidiana alternativa razzista neyorkese dell’epoca. A casa, rispetto alle sue sorelle più grandi, era la più nera e la più ribelle; in più era ipovedente, e il fatto di vedere così poco la portava inevitabilmente a osservare una realtà diversa dagli altri. A questo sguardo si aggiunge quello poetico, ma all’inizio si vergognava, non scriveva ma imparava a memoria le sue poesie sino ai vent’anni, quando scopre che è arrivato il momento di scrivere, e pubblicare, in versi.
Poi c’è la prosa.
Sì, la prosa viene più tardi, soprattutto con la scrittura dei suoi discorsi, che dagli Stati Uniti si spostano nei Caraibi, in Australia, a Cuba, a Berlino. Viaggia moltissimo, e viaggiando si rende conto che le sue parole sono in grado di entusiasmare le donne. Negli ultimi 14 anni della sua vita, con la malattia e poi la morte, arriva un periodo talmente fecondo che Lorde stessa definisce “una esplosione di luce”. Scopre come la prosa possa essere espressione della lotta, e i suoi discorsi, le sue frasi, diventano quasi iconiche: “Senza comunità non c’è liberazione, solo una tregua più vulnerabile e temporanea tra un individuo e la sua oppressione” è una delle più celebri. Infine, sempre per la prosa, un altro momento fondamentale è quando inizia a scrivere la sua autobiografia, già citata.
Il libro sta riscuotendo consensi, sono molti gli incontri organizzati. Che tipo di pubblico è interessato a una storia come questa? Ci sono anche uomini alle presentazioni?
Confesso di sentirmi un po’ la discepola che va a raccontare la maestra… Ma è per questo vado ovunque, soprattutto dove ci sono gruppi di lettura, persone che vogliono conoscere Lorde, o che l’hanno letta e ne vogliono parlare. Naturalmente ci sono più donne che uomini, ma questa è una costante di ogni presentazione... Ma gli uomini presenti hanno ascoltato tanto, e con interesse, spesso rimanendo molto colpiti da una figura di cui non sapevano assolutamente nulla, compreso il lato della grande attivista per il popolo nero. Perché quello di Lorde è anche un discorso di classe, che dunque intercetta anche gli uomini.
In un passaggio viene scritto: “L’Italia non ha ancora compiuto i necessari passi politici, vedi il diritto di cittadinanza ius soli, ed economici come il diritto al lavoro, perché un buon numero di donne non bianche possa leggere questo libro con la stessa pace, tempo e tranquillità di una donna bianca”. A che punto siamo?
Non siamo messi bene: gli italiani, secondo me, nella maggioranza dei casi sono ancora molto razzisti. Penso a quanto accaduto per il referendum sulla cittadinanza dopo una narrazione basata sui migranti (sottopagati) che ci rubano il lavoro, mentre dei dati incontrovertibili della Banca d’Italia (non dei Cobas…) ci dicono come proprio il lavoro dei migranti stia già pagando le pensioni a noi italiani. Quindi quando scrivo che una donna bianca può leggere con molto più agio questo libro, significa che le donne e gli uomini bianchi vivono ancora di una condizione privilegiata: gli ultimi numeri dell’Oxfam raccontano che il patrimonio accumulato dall’1% più ricco, in mano a uomini bianchi e occidentali, avrebbe potuto sconfiggere la fame nel mondo per 22 volte. Ecco, credo questo dica tutto.