I motivi delle difficoltà di tenuta del nostro sistema previdenziale vanno ricercati a fondo. Provo a spiegare il perché per gradi. Come detto, il nostro sistema previdenziale è oggi di tipo contributivo. Volendo sintetizzare, il lavoratore versa una parte del proprio reddito in contributi in modo da maturare negli anni in cui presterà servizio un montante di rivalutazione. La logica che sottostà a questo sistema – più contributi verso, più dignitosa sarà la mia pensione – si basa sull’assunto che un giovane, una volta entrato nel mondo del lavoro, trova da subito un impiego che gli garantisca un reddito stabile, ben retribuito e con i contributi versati regolarmente.

Il problema è che questo percorso lavorativo tipo si è schiantato ormai da diversi anni a questa parte contro lo sfacelo e la frammentazione dell’offerta lavorativa dominante. Le nuove generazioni di lavoratori accedono infatti a un mercato del lavoro che da subito, sin dalle loro prime esperienze salvo casi sempre più rari, si rivela saltuario, precario, poco retribuito, non contrattualizzato né assicurato, in cui spesso una delle condizioni sine qua non richieste per essere assunti è il possesso della partita Iva, mentre la parola “contributi” non viene nemmeno pronunciata.

A fronte di queste nuove dinamiche, l’attuale sistema previdenziale appare dunque quantomeno obsoleto e da rinnovare radicalmente, considerato anche il fatto che, a causa dell’alto indice di volatilità dei lavori proposti, stare fermi per qualche mese se non anni è la norma e non l’eccezione. E quello è un tempo totalmente perso, svuotato di compensi, contributi e diritti. Guardando all’anello opposto della filiera lavorativa, e dunque a chi si avvia alla fine della propria carriera, a complicare il cammino verso la pensione rendendolo nettamente meno flessibile è stata la legge Fornero del 2011.

Se la riforma Dini del 1995 prevedeva che dopo venti anni di versamenti di contributi il lavoratore poteva decidere di andare in pensione, valutando se gli convenisse o meno in base al reddito da pensione che aveva maturato con i suoi contributi, con la legge Fornero sono stati introdotti dei nuovi paletti con l’obiettivo di portare a termine un’operazione di cassa sulle pensioni. Il risultato è che sono state risparmiate risorse sulle spalle di lavoratori avanti con l’età, e creata una rigidità nel sistema contributivo che oggi più che mai va affrontata. A fronte di questa situazione si devono pertanto gettare le basi per una riforma del sistema previdenziale al passo coi tempi, capace di rispondere alle nuove dinamiche del mercato del lavoro e di tutelare il più possibile i lavoratori di ogni categoria, livello e fascia d’età.

È una missione ampia che necessita di una visione di lungo periodo, al cui centro c’è un’azione su tutte da compiere, ovvero rendere più stabile, più retribuito e più tutelato il lavoro per le nuove generazioni. È questa la condizione fondamentale perché l’intero sistema regga sul piano finanziario, economico e sociale: più giovani lavorano, più il loro salario è giusto, più versano contributi, più si dà stabilità previdenziale per il presente di chi è già in pensione e per il futuro di chi oggi sta lavorando. L’ho già detto e lo ripeto: si tratta di un meccanismo circolare, in cui ogni elemento è collegato a quello che lo precede e a quello che gli sta davanti.

Una soluzione perseguibile, in tal senso, è fissare un salario minimo, come ci chiede d’altronde da tempo l’Europa, facendo una media tra i contratti lavorativi migliori determinati dalla contrattazione tra datori di lavoro e sindacato. L’introduzione di un salario minimo così modulato avrebbe l’effetto immediato di evitare una precarizzazione ancora più diffusa del lavoro, in cui già oggi molte retribuzioni oscillano tra 4 e 6 euro l’ora. Fissare una soglia sotto la quale non è possibile andare significherebbe quantomeno frenare i contratti pirata e al massimo ribasso e garantire redditi di dignità che oggi i giovani fanno enorme fatica a raggiungere. Stabilita una base di partenza, spetterebbe poi ai sindacati contrattare nei territori o nelle filiere produttive forme di premialità graduali per i lavoratori.

È ora che l’Italia si tiri fuori dal limbo produttivo in cui si è ricacciata da anni. Escludendo i Paesi dell’Est Europa, siamo l’unico Stato membro dell’Ue in cui non è stato introdotto un salario minimo. Al contempo vantiamo di essere la seconda potenza manifatturiera d’Europa dietro la Germania. Ma a differenza della Germania, che trattiene ancora oggi alcune grandi imprese e dove i salari medi sono molto più alti dei nostri, l’Italia non fa corrispondere ai suoi livelli di produttività competitivi una altrettanto elevata qualità della vita lavorativa in nome di una logica del massimo ribasso che sta avendo il solo effetto di svuotarla di risorse giovani, formate e capaci.

La seconda azione da compiere è rispondere alle criticità innescate dalla riforma Fornero. Bisogna anzitutto liberare questa legge dai vincoli che rendono così rigida l’uscita dal lavoro per dare la possibilità, a chi ne ha il desiderio o la necessità, di andare in pensione, anche se ha maturato un reddito inferiore al minimo previsto. Se una persona ha maturato una pensione anche di soli 600 euro e ha comunque deciso di interrompere la sua attività lavorativa perché ad esempio, arrivata a una certa età, non ha più la forza fisica per andare avanti, allora deve essere messa nelle condizioni di poter scegliere liberamente.

La terza azione su cui puntare è pensare a come tutelare i soggetti più fragili del sistema previdenziale. In Italia ci sono centinaia di migliaia di lavoratori tra i 35 e i 45 anni rimasti inghiottiti nel precariato: sono le partite Iva, i lavoratori stagionali, quelli sottopagati. Se lo Stato non si occupa di queste persone, e subito, questi lavoratori saranno destinati inevitabilmente a diventare dei pensionati poveri.

Perennial verrà presentato il prossimo 8 dicembre, alle ore 11,45, presso la Sala Sirio della Nuvola a Roma, nell’ambito della ventunesima edizione della Fiera della Piccola e media editoria “Più Libri Più Liberi”.

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