Il cinema non è solo attori e registi, non è solo grandi star. Oltre ai divi che vivono sotto ai riflettori, com'è normale che sia - è l'industria, bellezza -, il cinema comprende una galassia di lavoratori e lavoratrici lontani dalla gloria, di cui non parla nessuno: le chiamano maestranze. In pochi nella storia le hanno davvero riconosciute: uno è Ken Loach, che negli anni Sessanta non voleva mettere nei titoli di testa per primo il nome del regista perché, diceva, i film li fanno tutti, non solo i registi. L'etimologia di maestranza è chiara: deriva da "maestro", dal latino magistrum, ovvero colui che insegna, che ha l'abilità di trasmettere il sapere. E infatti hanno molto da insegnare. Il problema è che, nell'Italia di oggi, le loro professioni stanno scomparendo.

Ma chi sono nello specifico? Il premio Pellicola d'oro, dedicato a loro, individua alcune professioni, che meritano di essere tutte citate: direttore di produzione, operatore di macchina, capo elettricista, attrezzista di scena, sarta di scena, tecnico degli effetti speciali, sartoria cineteatrale, capo dei costruttori, maestro d'armi, creatore di effetti sonori o rumorista, storyboard artist. Insieme a loro ne esistono altre, come gli addetti alla post-produzione, che sono essenziali nel funzionamento di un set e per concludere un film, di più: senza di loro i film non ci sarebbero. Se Roma è ancora la capitale della produzione cinematografica italiana, solo nel Lazio sono occupati 8.000 liberi professionisti, da macchinisti a registi, 12.000 piccole e medie imprese, dalle costruzioni scenografiche alle sartorie, per una filiera di 250.000 persone. Il lavoro è per sua natura precario: la precarietà inizia ogni volta che chiude un set, in attesa che ne apra un altro e nella speranza di essere "chiamati". Le paghe sono variabili, a seconda del budget previsto, naturalmente molto più basse di volti noti e celebrità varie. 

Come detto, c'è un premio che riconosce questi lavoratori, il loro piccolo Oscar: è la Pellicola d'oro (qui il sito ufficiale). Nato nel 2011 proprio con l'intento di valorizzare i mestieri del cinema, è stato assegnato di recente nel corso dell'ultima Festa del cinema di Roma: a vincere l'edizione di quest'anno sono stati Alessandro Ferretti (scultore), Ciro Scongliamiglio (aiuto regista) e Corrado Trionfera (produttore esecutivo). La premiazione è stata accompagnata da un incontro dal titolo "L’arte dei mestieri e dell'artigianato del cinema e i nostri giovani". L’obiettivo era quello di sottolineare l'importanza degli artigiani nel cinema italiano, ma si è lanciato anche un allarme: i mestieri stanno scomparendo.

Ne parliamo con il direttore del premio, lo scenografo e regista Enzo De Camillis. "I mestieri del cinema non sono importanti, sono fondamentali - esordisce -: con queste persone intendiamo tutti coloro che compaiono nei titoli di coda. Bisogna ricordarsi sempre che lo scenografo, il costumista, il sarto sono delle professioni". Nel nostro Paese, attualmente, "i corsi di formazione nelle scuole specifiche coprono la parte più nobile: fanno nascere registi, autori, direttori della fotografia. Non c'è più formazione professionale per figure come sarto, direttore di produzione, tecnico degli effetti speciali sul set, macchinista eccetera: non si formano insomma quelli che lavorano con le mani. E questo è un grave problema".

Per fare un esempio, la Pellicola d'oro per la migliore opera di sartoria è andata alla Sartoria Cineteatrale Tirelli, che ha cucito i sontuosi costumi di Qui rido io di Mario Martone. Nell'occasione la direttrice Laura Nobile ha raccontato che in azienda arrivano curriculum di ragazzi che vogliono fare il sarto dalla Francia e dalla Germania, ma non dall'Italia. Un problema, appunto, che se va avanti così rischia di provocare il blocco dei set italiani nel prossimo futuro: "Il nostro scopo - continua De Camillis - è divulgare i mestieri, dare loro il giusto valore, portare i giovani ad avvicinarsi. Oggi ragazzi e ragazze non conoscono le competenze di questi lavori, manca proprio l'orientamento, eppure non sono inferiori a registi e attori".

Per costruire nuovi lavoratori non basta la teoria: "È un lavoro pratico, devono stare sui set, bisogna fare accordi con i laboratori presenti sul territorio. Se iniziamo subito tra quattro o cinque anni avremo una nuova generazione preparata. Altrimenti ce li perdiamo". In questo scenario, conclude, la politica deve fare la sua parte: nel tempo di piani speciali e ripartizione delle risorse europee, anche le professioni del cinema devono ricevere finanziamenti pubblici, per rilanciarsi e andare avanti. Per non vedere i titoli di coda.